L'Unione europea e la guerra a Trump
Tempo di lettura: 3 minutiInteressante articolo quello scritto da Giorgio La Malfa sul G7 che si è svolto nei giorni scorsi a Taormina e sullo scontro che ha opposto Donald Trump all’Europa consumato nell’occasione (Il Mattino di Napoli del 30 maggio).
L’ex leader dei repubblicani afferma di non credere affatto che lo scontro si sia consumato sul clima, come riportato dai media. Piuttosto sulla richiesta del presidente degli Stati Uniti di un attutimento dell’aggressività commerciale della Germania, rimasta inevasa.
È un tema, questo, che è oggetto di controversia non «solo fra Germania e Stati Uniti, ma anche in Europa perché vi è un ingente surplus commerciale tedesco al quale la Germania si rifiuta di porre rimedio nel modo più semplice e diretto che è quello di aumentare la domanda interna, contribuendo così a riequilibrare i conti con l’estero propri e degli altri Paesi dell’Unione
».
Sul punto la Germania ha sempre risposto in maniera negativa, sia in Europa che in ambito internazionale. «Ma, se è così, – si chiede La Malfa – che senso avrebbe una maggiore integrazione europea che riprodurrebbe esattamente questa filosofia che lascia alla Germania i vantaggi della crescita ed agli altri il peso dell’austerità?
».
Uno squilibrio che andrebbe a peggiorare se, assecondando le richieste avanzate da Angela Merkel, si accedesse all’ipotesi «di eleggere un presidente tedesco alla Banca centrale europea rovesciando così completamente le politiche che la Bce ha seguito in questi anni
» (volte, almeno nelle intenzioni, ad attutire le conseguenze dello squilibrio europeo).
E aggiunge: «L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea porta con sé uno squilibrio politico in seno all’Unione: aumenta a dismisura il peso della Germania, che a stento può essere contenuta da una Francia indebolita. Il rischio di un’accentuazione dell’integrazione europea in queste condizioni è di plasmare solo sulla Germania le istituzioni europee, dando a questo Paese una posizione troppo preminente, sia in campo economico, che in campo politico e sociale
».
Quindi, dopo aver accennato al noto interrogativo posto da Thomas Mann ai suoi connazionali, se cioè essi volessero «una Germania europea» o «un’Europa tedesca», conclude: «La presenza della Gran Bretagna in seno all’Unione Europea e i profondi vincoli di amicizia fra l’Europa e gli Stati Uniti hanno garantito a lungo che si andasse verso un’Europa unita fondata su un equilibrio fra i paesi membri
».
«La cancelliera Merkel ha detto ieri che l’Europa deve prendere nelle proprie mani il suo destino. Ma questo destino deve essere quello di tutti i Paesi europei. Non può coincidere con quello della Germania
».
Analisi più che lucida quella dell’ex presidente del partito Repubblicano (scuola prima Repubblica che, al di là delle appartenenze, è sempre di altro livello…). E che non richiede aggiunte.
Al massimo si può sottolineare un punto esposto, che poi è quello che dà titolo all’articolo: “Ma la guerra a Trump non è di tutta la Ue”.
Quella che nei media viene definita una guerra tra Unione europea e Stati Uniti è invece un conflitto commerciale tra Berlino e Washington, contesa nella quale la Germania ha tutto l’interesse ad accentuare i toni.
Anzi, molto più di una contesa commerciale. Quella che alcuni commentatori definiscono una battaglia di civiltà e di libertà, una “resistenza” ideale al “bullo” d’Oltreoceano e alle sue inusitate pretese verso Paesi alleati agli Stati Uniti, ha due finalità.
Da una parte aumentare le distanze tra Europa e Washington per consegnare i Paesi Ue all’egemonia tedesca, dall’altra creare attorno a Trump un’aura oscura, consegnarlo alla percezione di un isolamento internazionale così da renderlo più fragile in patria a favore di quelle forze interne agli Stati Uniti che sperano di detronizzarlo, o quantomeno de-potenziarlo, a stretto giro di posta.
Queste ultime sono ambiti politici, culturali e finanziari che non hanno accettato il verdetto delle urne, e che, subito dopo la vittoria di Trump hanno dato vita a un contrasto a tutti i livelli.
Non si tratta solo di ambiti democratici, ché anzi Bernie Sanders (solo per fare un esempio), pur critico verso il nuovo inquilino della Casa Bianca, si era offerto di collaborare sul tema del lavoro.
Ma di forze oscure, che avevano puntato tutto sulla Clinton e su una politica estera più assertiva nei confronti della Russia (simbolico in tal senso che Trump sia inchiodato sul russiagate).
Forze quindi che non hanno rispetto delle dinamiche proprie della democrazia, che ha nella sovranità popolare il suo fondamento. Il fatto che tali forze oggi conoscano convergenze parallele con la Germania di Angela Merkel getta ombre ancora più oscure sulla pretesa germanizzazione dell’Europa.
Nella foto: Giorgio La Malfa e Ronald Reagan, fotografia ripresa dal profilo dell’ex presidente del partito repubblicano