Majdal Shams, il mondo attende la reazione israeliana
Il mondo è sospeso alla reazione israeliana per la strage del Golan occupato. “La risposta dovrebbe arrivare presto. La sua intensità e la successiva risposta di Hezbollah determineranno come si svilupperà il conflitto sul confine settentrionale di Israele nel breve termine. Gli Stati Uniti, la Francia e altri paesi stanno facendo enormi sforzi per convincere Israele ad accontentarsi di un’azione misurata che impedisca alla situazione di degenerare in una guerra regionale”.
La strage di Majdal Shams
Il virgolettato riprende una nota di Amos Harel su Haaretz il quale, di seguito, aggiunge che le potenze occidentali stanno esortando Israele a limitare la risposta “a obiettivi militari definiti”, a evitare “bombardamenti di lunga durata” e a “non colpire Beirut”. Ma, aggiunge Harel, è ignota la risposta israeliana a tali sollecitazioni, mentre, da parte sua, Hezbollah si sta preparando per lo scenario peggiore, riposizionando i “suoi missili di precisione”.
Sullo sfondo, gli ammonimenti dell’Iran a evitare nuove avventure in Libano e le strane dichiarazioni di Recep Erdogan, che ha addirittura minacciato di invadere Israele nel caso di escalation, con ovvie reazioni di Tel Aviv. Minacce, però, che paiono più trovate per attirare i consensi delle masse arabe che altro, dal momento che, ad oggi, Ankara, al di là di questa e altre intemerate pregresse, non ha mosso un dito per la causa palestinese.
Quanto all’attacco al villaggio di Majdal Shams, le domande che abbiamo posto nella nota precedente trovano eco in un articolo di Responsible Statecraft a firma di Alì Rizk, il quale riporta le accuse israeliane a Hezbollah, che avrebbe lanciato contro il villaggio druso un Falaq – missile con una testata esplosiva di 53 Kg – e la replica di Hezbollah, che ha negato di aver lanciato il razzo, affermando che la strage sarebbe stata causata da un missile partito da un sistema intercettore israeliano andato fuori bersaglio.
L’errore della guerra
“Sebbene le alture del Golan siano state oggetto di numerosi attacchi da parte di Hezbollah nel conflitto in corso – prosegue Rizk – prendere di mira i civili in questo modo segnalerebbe un netto allontanamento dal suo modus operandi“.
“Nel corso di questo conflitto, infatti, il movimento sciita ha selezionato attentamente i propri obiettivi in modo da logorare le forze israeliane mentre i combattimenti di Gaza proseguono, senza tuttavia dare a Israele la giustificazione per lanciare una guerra più ampia in Libano”.
“Israele afferma che gli attacchi missilistici e con droni transfrontalieri di Hezbollah hanno causato vittime sia tra i militari che tra i civili. Un attacco deliberato che colpisca i civili su una scala come quella dell’attacco di sabato, tuttavia, avrebbe poco senso strategico per il movimento libanese, perché darebbe a Israele una giustificazione per una guerra su vasta scala che potrebbe distruggere Hezbollah, oltre che isolarlo e demonizzarlo ulteriormente sulla scena internazionale”.
“Ciò determinerebbe la classificazione definitiva di Hezbollah come organizzazione terroristica da parte dell’UE, un obiettivo che Israele cerca di raggiungere da tempo”.
“Inoltre, in occasioni precedenti, il movimento libanese non ha esitato ad ammettere di aver causato per errore la morte di civili. Nel 2006, il leader di Hezbollah Sayyed Hassan Nasrallah si assunse la responsabilità della morte di due bambini arabi israeliani, scusandosi con la famiglia delle vittime”.
Non stiamo parlando di boy scout, ovviamente, ma di una milizia armata quanto determinata, che però finora ha dato prova di saper gestire un conflitto complesso come quello che ha impegnato contro Israele dopo l’invasione di Gaza, da cui le domande per l’accaduto.
Anche se si ammettesse come vera la versione israeliana, è evidente che si tratterebbe di un errore di mira, dal momento che Hezbollah non avrebbe avuto alcun motivo per attaccare il villaggio druso. Così che la guerra, se guerra sarà, prenderebbe abbrivio da potenziale un errore.
D’altronde, era ovvio che fosse necessario raffreddare prima possibile il conflitto di confine tra Israele ed Hezbollah, perché in una simile situazione la possibilità di errori, di calcolo o di mira, sono più o meno inevitabili. E per chiudere la criticità, l’unica via era l’accordo con Hamas, che Netanyahu ha sabotato in tutti i modi.
Israele e la marcia della follia
Già, Netanyahu. Segnaliamo che il premier israeliano, recatosi in visita a Majdal Shams per portare la solidarietà del governo, è stato contestato duramente, al grido di “assassino” (Ansa).
Ma al di là del particolare, appare di interesse un articolo di Alon Pinkas su Haaretz, secondo il quale Israele dopo la vittoria della guerra dei sei giorni del 1967 e la nascita del movimento di insediamento, che ha creato una realtà “geo-demografica quasi irreversibile in Cisgiordania”, è preda di una “marcia della follia” dalla quale non riesce a uscire.
Israele vive in un complesso agone geopolitico, circondato da nemici che, secondo Rosas, è necessario contrastare. E però, aggiunge il cronista, descrivere questa conflittualità “come una lotta esistenziale, una guerra di civiltà o una ‘seconda guerra d’indipendenza’ sono solo frasi a effetto grandi e accattivanti. Ma non sono una politica. Al contrario, sono parte della marcia della follia caratterizzata da una mancanza di visione e da un tragico fallimento dell’immaginazione”.
Quindi, dopo aver accennato all’errore insito nel rigetto delle proposte di pace formulate dall’America spiega che Israele è forte, ma è prigioniero di un premier narcisista e di “una coalizione di fanatici della Fine dei Giorni, determinati a marciare verso la follia. Tutto ciò sembra una tragica semplificazione della vecchia linea: siamo sull’orlo dell’abisso, ma siamo determinati a fare un passo avanti”.
La variabile della follia accennata nella nota di Pinkas rende l’attuale momento di sospensione ancora più pericoloso.