Tempo di lettura: 3 minutiZelensky ha inviato un messaggio a Putin tramite il presidente indonesiano Joko Widodo, che lo ha incontrato prima di approdare a Mosca. Secondo la BBC si tratterebbe di una nota, ma il portavoce del Cremlino, al quale è arrivato, ha precisato che si tratta di un messaggio verbale, senza specificarne il contenuto, evidentemente troppo delicato per esser dato in pasto al mondo (gli ucraini smentiscono, ma Widodo non aveva alcun motivo per inventarsi la cosa…)..
Improbabile che sia una richiesta di negoziati, per la quale non serviva Widodo, essendo bastevole un intervento pubblico. Tiriamo a indovinare, tanto la nostra ipotesi vale quanto un’altra, così azzardiamo che ha chiesto protezione nel caso – e quando – si aprissero negoziati, sviluppo che metterebbe a rischio la sua vita a causa degli irriducibili interni ed esterni (un Zelensky martire sarebbe un ottimo sponsor per la guerra infinita contro la Russia).
Ipotesi più o meno astruse a parte, Widodo ha il merito di aver sparigliato le carte, dal momento che è la prima volta che i due comunicano dall’inizio della guerra, seppur indirettamente.
Ma il presidente indonesiano ha un altro e più grande merito, avendo invitato Putin al G-20 che si terrà nel suo Paese, ponendo così l’ipotesi che possa incrociare le sue strade con quelle di Biden.
Il povero Draghi ha minimizzato, dichiarando che Putin interverrà solo via web, attirandosi la risposta di Mosca, che ha ribattuto che non compete a lui fare le convocazioni (vero: è incompetente; d’altronde, quando un pollo si atteggia a falco fa solo danni, a sé e ad altri).
Non è detto, comunque, che tale ipotesi si realizzerà, dal momento che, come scrive il South China Morning Post, “Jakarta ha subito pressioni occidentali per escludere Putin dalla riunione del G20 dopo che questi, ad aprile, ha annunciato di essere stato invitato”. Pressioni che aumenteranno man mano che la scadenza si approssima.
Però sembra certo che Blinken e Lavrov voleranno a Jakarta per la riunione dei ministri degli Esteri che precede quella dei 20 leader mondiali. Non terranno colloqui tra loro, almeno non sono in programma, ma ci sarà certo modo di comunicare sottotraccia, tramite emissari. Buona cosa per tenere la crisi ucraina nell’alveo delle cose gestibili.
Per quanto riguarda la guerra, due cenni vanno spesi sulla Nato. Anzitutto sul suo ampliamento a Svezia e Finlandia. Fulminante il commento di Caitlin Johnston riportato sul sito del Ron Paul Institute: “Quindi l’impero occidentale espanderà nuovamente la NATO in risposta a una guerra che è stata causata soprattutto dall’espansione della NATO. Brillante”.
La seconda osservazione riguarda l’annuncio del Segretario generale della Nato Jens Stoltenberg sulla creazione di una forza di risposta rapida di 300mila uomini da schierare in Europa per contrastare la Russia.
Il tema è affrontato da Michael Birnbaum ed Emily Rauhala sul Washington Post, in una nota che già dal titolo fa intuire certe criticità, dal momento che, recita il titolo suddetto, tale sviluppo è “più un’ipotesi che una realtà”.
L’annuncio è piombato “senza preavviso” sui capi della Difesa europea, spiega il Wp, tanto che uno di essi, che ha chiesto l’anonimato per parlare con franchezza, lo ha liquidato con una battuta: “Sarà la magia dei numeri?”.
“Interpellato mercoledì in una conferenza stampa sul mistero delle truppe scomparse – prosegue il Wp – Stoltenberg ha affermato che la ‘maggior parte delle truppe resterà nei paesi d’origine e si baserà sul personale esistente’ – un messaggio in qualche modo in codice, che tende semplicemente a classificare in altro modo le truppe attualmente esistenti, allo scopo di creare forze più disponibili a un rapido dispiegamento, in caso di crisi, sotto il comando della NATO”.
Il Wp prova a mettere un po’ di ordine nella “confusione” (sic) creata da Stoltenberg, spiegando che verrà rafforzato il fronte orientale, così che l’attuale presenza “simbolica” della Nato possa diventare una forza operativa, con tanto di base permanente Usa in Polonia.
Detto questo, andrebbe ricordato a Stoltenberg e ai suoi improvvidi suggeritori d’Oltreoceano, oltre che a Boris Johnson (1), che uno scontro diretto tra Nato e Russia sarebbe nucleare, e i loro/nostri fantaccini in Oriente, pochi o tanti che siano, risulteranno simbolici quanto quelli attuali… tant’è.
Interessante la conclusione del Wp a proposito dei 300mila: “Non sarebbe la prima volta che Stoltenberg annuncia numeri che hanno più a che fare con il simbolismo che con la realtà. Nel corso della presidenza di Donald Trump, il segretario generale della Nato ha reso pubblici dei dati sulla spesa per la difesa calcolati in modo da comunicare come fosse aumentato l’impegno da quando Trump era entrato in carica nel 2017, ciò nonostante il fatto che la spesa della NATO, in realtà, era iniziata ad aumentare dopo l’annessione russa della Crimea, cioè tre anni prima. La manipolazione aveva lo scopo di blandire l’ego di Trump e permettergli di prendersi il merito del rafforzamento della difesa”.
“Dopo la fine dell’incarico [di Trump], i numeri della NATO sono stati immediatamente ricalcolati in modo più completo e accurato, ricomprendendo gli ultimi anni della presidenza di Barack Obama”.
Magia dei numeri, appunto. Resta lo sconcerto per il fatto che a tali magie e a tali maghi siano sospese le sorti del mondo.
(1) Trattato come un ubriacone dai media mainstream in precedenza, da quando Johnson ha abbracciato la causa Nato è presentato come un novello Churchill. A quanto pare i voltagabbana non si riscontrano solo in politica.