Ucraina. I missili di Sebastopoli e i problemi di leva
Tempo di lettura: 2 minutiL’attacco alla flotta russa a Sebastopoli mirava a lanciare un segnale avverso all’incontro tra Putin e Kim Jong-un. Le grandi capacità dell’apparato militar-industriale nordcoreano, infatti, immettono una variabile nuova nel conflitto ucraino, quindi la NATO – che ha al solito ha guidato la sofisticata operazione dei suoi ascari locali – ha voluto dimostrare la vulnerabilità delle forze russe.
Allo stesso tempo, si è raggiunto lo scopo di nascondere la notizia dell’incontro tra i due capi di Stato, obiettivo non secondario data l’importanza accreditata alla narrazione mediatica di questa guerra.
Sebastopoli: missili contro il porto
L’attacco, condotto con una decina di missili, ha danneggiato un nave un sottomarino russo e causato un incendio che ha ferito una ventina di persone. Seguiranno dure ritorsioni, ma a subirle saranno gli ucraini non chi gestisce le operazioni dall’estero.
Nulla cambia per quanto riguarda la guerra, che continuerà a macinare vite di soldati ucraini. Tale moria, che a breve o a medio termine rischia di rendere impossibile tenere il fronte, ha costretto Kiev a correre ai ripari.
Dopo aver dimissionato tutti i capi dei centri di arruolamento perché raccoglievano tangenti da quanti potevano eludere la leva perché benestanti, Kiev ha pensato di rimpatriare i potenziali coscritti fuggiti all’estero.
Ma secondo il media Strana sarà arduo sia accertare la falsità dell’inidoneità alla leva, sia farli tornare in patria: per farlo, serve istituire un procedimento di estradizione, individuare la nazione in cui si trova il reprobo e, infine, inviare la richiesta allo Stato di competenza.
Giustamente, il cronista di Strana annota come sia lungo, complesso e forse aleatorio tale procedimento e come la magistratura occidentale potrebbe non dar seguito alla richiesta.
A meno che non si raggiunga un’intesa politica con la Ue che superi ostacoli ad oggi insormontabili. Ma l’intesa in questione, secondo il cronista, non appare facile, sia dal punto di vista giuridico, sia, si ci permettiamo di aggiungere, a livello d’immagine. I Paesi europei dovrebbero riempire treni speciali di gente votata al macello (immagini che, pur evitando paragoni inappropriati, non possono non riecheggiare nefaste deportazioni del passato).
Diverso il caso dei Paesi con cui Kiev potrebbe trattare la cosa in via politica e su più alti livelli, cioè, secondo il cronista di Strana, la Moldavia (ci sembra improbabile) e i Paesi baltici; ma anche la Polonia, che sembra aver già iniziato l’operazione di deportazione, ripulendo così la patria di rifugiati che, dopo l’iniziale entusiasmo, iniziano a esser visti come un fastidio dalla popolazione e come un problema dalle autorità.
Se anche riuscisse, l’operazione deportazione circoscritta a tali Paesi avrebbe un impatto limitato sul rafforzamento della compagine ucraina. Non sarebbe, cioè, la bacchetta magica in grado di risolvere la crisi di manodopera, che man mano che il tempo passa diventa sempre più critica e rischia il collasso del fronte.
A meno di un intervento diretto NATO, ma questa è un’altra storia, forse l’ultima dell’umanità. A meno che l’operazione deportazione possa essere usata per infiltrare nel Paese truppe NATO sotto mentite spoglie. Opzione non difficile, ma di incerto impatto.
p.s. nella foto di apertura i danni provocati da uno dei missili, probabilmente uno Storm Shadow di fabbricazione britannica, al porto di Sebastopoli