Modi accelera: s'incendia la crisi del Kashmir
Tempo di lettura: 3 minutiL’India pone fine all’autonomia del Kashmir. La decisione innesta nuove tensioni nella regione di confine tra India e Pakistan, luogo di conflittualità latente tra i due Paesi, scoppiata in guerra aperta varie volte, l’ultima solo alcuni mesi fa. Avvisaglia e prodromo di quanto sta avvenendo.
Rischio di incendio atomico perché i due Paesi hanno ordigni nucleari nei loro arsenali, ma più brandito dal leader pakistano che reale.
La guerra di febbraio
Ma andiamo ai fatti, che iniziano, per dare una scadenza a breve, nel febbraio scorso, quando l’India reagisce a un attentato in Kashmir bombardando oltre il confine, in Pakistan.
Qui infatti trova asilo, e secondo New Delhi anche protezione, Jaish-e-Mohammed, la milizia secessionista rea dell’eccidio, che da tempo cavalca il revanscismo islamico contro lo Stato indiano.
Il Pakistan reagisce alla violazione dei suoi confini: ne nascono scontri e aerei abbattuti. Particolari a parte, la guerra è breve e serve a Nerendra Modi per alimentare il nazionalismo interno e stravincere le elezioni in India.
Da allora la situazione resta congelata, nonostante il presidente Imran Khan abbia più volte teso la mano al suo omologo indiano, che questi si è ben guardato dall’accettare.
L’India, infatti, continua ad accusare Islamabad di non agire contro i terroristi incistati nel suo territorio e di ingerenze indebite nella regione: per New Delhi il suo sostegno alle ragioni della comunità islamica fomenterebbe il secessionismo.
Il nodo Kashmir e Trump
Tensione sempre alta, dunque, che Imran Khan ha cercato di spegnere rivolgendosi a Trump, potente alleato di un tempo, ora meno, da quando cioè Islamabad ha cominciato a guardare alla confinante Cina e a legarsi alla Belt and Road sulla quale Pechino fonda la sua proiezione globale.
Ma valeva comunque la pena rivolgersi al presidente Usa, deve aver immaginato Khan, perché comunque i legami tra i due Paesi restano forti e perché il Pakistan è pedina essenziale dello scacchiere afghano, dal quale Trump vuol ritirare le truppe americane.
Così l’incontro a Washington di fine luglio, nel quale Khan ha convinto il suo interlocutore d’oltreoceano delle sue ragioni, tanto che Trump si è proposto come mediatore tra India e Pakistan.
Annuncio a vuoto: Modi ha rigettato l’offerta, avvertendo gli Usa di evitare ingerenze sulla questione Kashmir.
Rifiuto che peraltro correva in parallelo allo scontro sotterraneo tra le due nazioni a causa dell’acquisto dei sistemi difensivi S-400 russi da parte di New Delhi – in contrasto con la sinergia militare che la lega a Washington -, criticato non poco oltreoceano.
L’accelerazione di Modi
Un annuncio a vuoto, dunque, quello di Trump, che forse ha avuto l’effetto opposto, ovvero di accelerare la crisi. Modi deve infatti essersi persuaso ad agire in fretta, prima che l’attivismo di Imran Khan guadagnasse consensi alla sua causa e chiudesse la finestra di opportunità.
E ha agito preventivamente, decretando in tutta fretta la fine dell’autonomia del Kashmir, che porta con sé l’indianizzazione della regione, a detrimento della comunità islamica del luogo legata al Pakistan da vincoli secolari, antecedenti alla divisione di Islamabad dal resto dell’India britannica.
Una divisione galeotta, quella del 1947, foriera delle future conflittualità. Mentre le due parti della colonia di Sua Maestà si separarono con relativa/tormentata facilità, il Principato del Jemmu e del Kashmir, che viveva di vita propria, tentò di preservarsi barcamenandosi tra i due poli.
Durò poco: conflitti ingestibili portarono il principato a chiedere l’unificazione con l’India, che si impegnò a concedere larga autonomia, divenuta nel tempo brodo di coltura per il revanscismo di quanti, nella comunità islamica, immaginavano per la regione un destino pakistano.
Un secessionismo che a sua volta ha alimentato la spinta opposta, ovvero la piena integrazione nella nazione indiana, di cui Modi ha ribadito la necessità durante la campagna elettorale e che ora ha messo in pratica a sorpresa, dopo un’accurata preparazione avvenuta nel più assoluto segreto e di concerto col suo ministro degli Interni (Hindustan Times).
Futuro imprevedibile
Il presidente pakistano protesta, e con lui la CIna, che deve pur sostenere il suo alleato. Ma ormai Modi è costretto ad andare fino in fondo.
In Kashmir sono state tagliate le comunicazioni e chiuse le scuole. Aria di intervento militare: i separatisti non si rassegneranno facilmente e in un eventuale conflitto troverebbero il supporto di Islamabad, che oggi ha interrotto significativamente i rapporti diplomatici con New Delhi.
Crisi tutta asiatica, che vede spettatori interessati. L’America potrà usarla contro la Cina, che sta contrastando a tutti i livelli, mentre la Russia difficilmente si porrà contro l’India, dati i nuovi legami dati dalla vendita degli S-400. Situazione complessa, sviluppi imprevedibili.