Il 'Momento Navalny': echi da terza guerra mondiale
“Secondo Stoltenberg, ogni alleato deciderà autonomamente se fornire F-16 all’Ucraina, perché gli alleati hanno visioni politiche diverse. Ma allo stesso tempo, secondo questi, la guerra in Ucraina è una guerra di aggressione e l’Ucraina ha il diritto all’autodifesa, compreso quello di attaccare obiettivi militari russi legittimi al di fuori dell’Ucraina”. Così nel report di Radio Liberty citato da Strana ed Euromaidanpress).
Il “momento Navalny”: la follia di dare a Kiev missili a lungo raggio
Non solo gli F-16, sui media si susseguono appelli e indiscrezioni sulla fornitura di missili a lungo raggio. Reclamizzati come necessari a colpire le linee di approvvigionamento dei russi, sarebbero usati, come da affermazione di Stoltenberg, per colpire in profondità il territorio russo. Una follia da terza guerra mondiale.
Tale la conseguenza del “momento Navalny”, che i falchi stanno usando per riaccendere il fuoco ucraino, che si stava mestamente spegnendo dopo la caduta di Adviika in mano russa e lo sfaldamento del fronte ucraino.
Ne scrive Politico, che racconta come fosse mesta l’aria che si respirava alla recente Conferenza sulla Sicurezza di Monaco alla quale hanno partecipato quasi tutti i sostenitori dell’Ucraina (Macron non è andato…).
Ma poi “la morte prematura di Navalny […] sembra aver cambiato i calcoli”. A questo punto, l’invio dei missili a lungo raggio “potrebbe essere giustificato come un messaggio inviato a Putin, un ‘segnale Navalny’ successivo alla morte del leader dell’opposizione”.
Si ripete uno scenario già visto. Infatti, quando sono state avanzate proposte sull’invio di armi sofisticate, scrive Politico, sono “nate discussioni complesse per stabilire i rischi, le difficoltà o l’impossibilità di una particolare opzione, [dibattiti] spazzati via e dimenticati allorquando una nuova provocazione da parte della Russia ‘giustificava’ il passo successivo” (ci sarebbe da dirimere sulle asserite “provocazioni” russe, ma soprassediamo).
Non è proprio così. La realtà è più banale e dice di una lotta nell’ambito dell’impero tra falchi e colombe (per semplificare), con queste ultime che frenano le follie dei primi. Tanto che anche Politico specifica, lamentandosene, che i più cauti sono Biden e Sholz, coadiuvati dai loro assistenti, Jake Sullivan e Jens Plötner.
Con la loro “paura” di scatenare una guerra mondiale, timore che pure uno degli interpellati di Politico definisce “comprensibile” (fioco barlume di ragionevolezza), hanno modulato l’afflusso degli aiuti diretti a Kiev.
Sul punto, Politico riporta le dichiarazioni di Hunter Christie, ricercatore dell’Istituto finlandese per gli affari internazionali: “Insieme questi due [Sullivan e Schmidt] hanno sostenuto l’idea che la Russia alla fine si sarebbe ritirata e si sarebbe scoraggiata. Ciò potrebbe aver evitato la guerra nucleare, ma ci ha intrappolati tra due risultati non ottimali: una guerra più ampia con la Russia o il collasso dell’Ucraina, che sarebbe uno shock, un’umiliazione e una dimostrazione della debolezza dell’Occidente”.
La spinta verso la guerra globale
In realtà, tale bivio era evidente fin dall’inizio della guerra, ma tant’è, sono arrivati a capirlo dopo un milione di morti. Così la spinta dei falchi è per una ulteriore escalation, cioè jet e missili a lungo raggio, armi che colpiranno la Russia in profondità, come annunciato da Stoltenberg e come accadrebbe sicuramente anche se l’Occidente dicesse a Kiev di non utilizzarli così (tale, ad esempio, la dinamica per gli Himars).
Un azzardo più pericoloso dei precedenti. Se i russi vedessero bombardata Rostov o addirittura Mosca con missili Nato dovrebbero reagire per forza e la reazione potrebbe non limitarsi al teatro di guerra ucraino come ha fatto finora.
La misura parallela proposta dai falchi, da adottare in combinato disposto con i missili, è quella di usare i soldi russi congelati nelle banche d’Occidente per finanziare l’Ucraina. Altra follia, dal momento che, come scrive Politico, c’è “il rischio che Mosca reagisca impossessandosi delle centinaia di miliardi di euro di beni delle aziende europee ancora circolanti in Russia”.
Non solo. Se già oggi si registra una fuga dal dollaro a causa dell’uso massivo delle sanzioni, tale mossa potrebbe innescare una fuga dei capitali non occidentali dalle banche nostrane, dal momento tanti Paesi potrebbero paventare di condividere in futuro il destino della Russia (sul nesso tra de-dollarizzazione e sanzioni vedi The Economist: “Le sanzioni non sono il modo per combattere Vladimir Putin”).
Ma il “momento Navalny” ruggisce. “‘Non perdere’ non basta: è ora che l’Europa faccia finalmente sul serio con la vittoria dell’Ucraina”, strilla l’autorevole cronista Timothy Garton Ash sul Guardian. Gli fanno eco Jospep Borrell e Dmytro Kuleba, ministri degli Esteri della Ue e dell’Ucraina, che vergano un articolo congiunto dal titolo: “L’Europa e il mondo hanno bisogno che l’Ucraina vinca” (pubblicato su Project Syndacate, la creatura mediatica di George Soros). Si potrebbe continuare…
Fiochi barlumi di ragionevolezza
La spinta a innescare la terza guerra mondiale è forte. Fortunatamente c’è ancora un residuo di ragionevolezza nella leadership occidentale. Die Welt, spiega Politico, ha riferito che Sholz si sarebbe opposto alla nomina della presidente della Commissione europea Ursula Van der Lyen a capo della Nato perché “troppo critica nei confronti di Mosca, cosa che potrebbe diventare uno svantaggio a lungo termine” (vero anche se fosse una fake il niet di Sholz).
Per quella carica Biden punta sull’ex primo ministro olandese Mark Rutte, pure alquanto ingaggiato nel conflitto ucraino essendo stato il primo a promettere jet a Kiev. Eppure, alla Conferenza di Monaco “pur affermando che solo Kiev può avviare negoziati con Mosca, [Sholz] ha aggiunto: ‘Ma quando ciò accadrà, dovremo sederci insieme agli Stati Uniti, in seno alla NATO, [e] collettivamente, parlare con i russi dei futuri accordi di sicurezza tra noi. e i russi”.
Ancora più interessante la conclusione dell’articolo di Politico: “In un discorso alla conferenza di Monaco, Scholz ha accennato a come l’Occidente stia ridefinendo silenziosamente i suoi obiettivi di guerra in Ucraina. Invece di dire ‘l’Ucraina vincerà’ o ‘la Russia deve lasciare l’Ucraina’, il cancelliere tedesco ha sostenuto che a Putin non dovrebbe essere consentito di dettare i termini di pace in Ucraina”.
“Questo è certamente più morbido [dello slogan] ‘l’Ucraina non può perdere’. Essenzialmente [ciò] significa consolidare lo status quo”, ha commentato Jan Techau, direttore del think tank Eurasia Group.
Sempre da Techau, una riflessione interessante e di segno opposto a quanto segnalato in precedenza: “Anche dopo l’uccisione di Navalny, non c’è stato alcun ‘momento Mario Draghi’ che segnalasse la volontà di fare ‘tutto il necessario’ per aiutare l’Ucraina a vincere”.
“[…] L’Occidente non si è arreso in Ucraina. – termina Politico – Ma la sua maggiore attenzione verso la gestione del rischio rivela il desiderio di porre fine al conflitto e stringere un accordo con Putin, se possibile il più presto possibile”.
Resta da vedere quale delle due forze confliggenti all’interno dell’Impero prevarrà. Finora tale conflitto interno ha portato a escalation limitate. Ma le mosse suggerite dai falchi in questi ultimi giorni sono molto più pericolose delle precedenti. Ardua una modulazione che limiti i rischi. La posta in gioco è altissima.