Il momento Pearl Harbor degli Usa verso l'Iran
Il Progetto per un nuovo secolo americano (PNAC) varato nel 2000 e sul quale lavorarono molte delle più influenti menti statunitensi (che affollavano le fila dei neoconservatori) è tornato alla ribalta. Il PNAC prevedeva una svolta aggressiva della politica estera americana tale da impegnare Washington a “combattere e vincere in modo decisivo molteplici grandi guerre regionali simultanee”.
In tal modo gli Stati Uniti avrebbero confermato e reso irrevocabile il loro ruolo di dominus del mondo. Per porre in atto tale progetto si prevedeva un massivo riarmo degli Stati Uniti e una trasformazione in modalità molto più aggressiva della sua leadership in politica estera, un processo che avrebbe avuto tempi lunghi a meno di “un evento catastrofico e catalizzatore, come ad esempio una nuova Pearl Harbor”.
Il PNAC ottenne il suo momento “Pearl Harbor” un anno dopo, con l’11 settembre, e fu la guerra all’Afghanistan, poi all’Iraq, la guerra globale al Terrore e tanto altro, una forza propulsiva all’interno dell’Impero che, con alti e bassi, perdura “anche oggi”.
Il momento Pearl Harbor
Lo scrive Kelley Beaucar Vlahos sull’American Conservative in un articolo dal titolo: “Attenzione al momento ‘Pearl Harbor’ iraniano”. Una nota nella quale spiega che l’attacco del 7 ottobre di Hamas è stato un nuovo momento “Pearl Harbor” per i neoconservatori e che gli attuali attacchi agli alleati dell’Iran in Siria, Iraq e Yemen possono essere prodromici a un attacco contro l’Iran, prospettiva sulla quale stanno frenando sia Washington che Teheran.
Ma non passa giorno che i neoconservatori – o giornalisti, analisti, politologi, terrorologi a loro collegati – non incitino ad attaccare “davvero davvero l’Iran” (la reiterazione è del testo). Nel suo pezzo, il cronista dell’American Conservative cita diversi interventi in tal senso.
Per parte nostra, riportiamo l’incipit di un articolo di Ilan Berman sul National Interest: ” Winston Churchill, intorno al 1944, aveva dichiarato: si può contare sul fatto che gli Stati Uniti faranno la cosa giusta una volta che avranno esaurito ogni altra opzione disponibile”.
“Allora il Primo Ministro britannico parlava dell’entrata tardiva dell’America nella Seconda Guerra Mondiale, dopo che l’attacco giapponese a Pearl Harbor aveva reso impossibile l’inerzia. Oggi è un ottimo modo per descrivere la politica in Medio Oriente dell’amministrazione Biden”…
Colpire l’Iran
Lo scritto si riferisce alla necessità di porre fine agli attacchi delle milizie filo-iraniane alle basi e agli interessi Usa in Iraq e Siria. Washington non l’otterrà con le bombe. E, invece di fare l’unica cosa che può fermare tali attacchi, cioè dar vita a un processo distensivo e chiudere la guerra di Gaza – basta non inviare armi a Israele – alimenta la tensione.
Gli Stati Uniti hanno colpito 85 obiettivi in Iraq e Siria come ritorsione per l’attacco di una sua base che ha causato la morte tre soldati americani. E hanno dichiarato che i raid continueranno nei modi e nei tempi che decideranno loro.
Riportiamo da Antiwar: “Intervenendo al programma ‘State of the Union’ della CNN, [il Consigliere per la Sicurezza nazionale Jake] Sullivan ha dichiarato che la campagna di bombardamenti non è finita, aggiungendo che gli Stati Uniti stanno pianificando ‘ulteriori azioni’. Quando gli è stato chiesto se gli Stati Uniti hanno escluso di lanciare attacchi sul territorio iraniano, ha risposto: ‘Guarda, intervenendo in un programma televisivo nazionale, non ho intenzione di escludere o non escludere nessuna attività su nessun territorio”.
L’indeterminatezza offre spazi di manovra ai neocon
L’indeterminatezza che vela le decisioni dell’amministrazione Usa, se da una parte serve a evitare polemiche su una vera o asserita poca determinazione nella ritorsione, dall’altra offre spazi di manovra immensi a quanti stanno cercando in tutti i modi il redde rationem con Teheran, che per parte sua ha dichiarato che risponderà adeguatamente in caso di aggressione (basta un attacco a una nave iraniana)..
Le bombe statunitensi hanno causato la morte di 16 persone in Iraq e un numero indeterminato di vittime siriane. Le autorità irachene hanno dichiarato tre giorni di lutto nazionale “in segno di protesta contro l’aggressione americana che ha preso di mira siti militari e civili iracheni, il Ministero degli Affari Esteri convocherà l’Incaricato d’Affari dell’Ambasciata degli Stati Uniti a Baghdad, David Burger”.
Se Assad è classificato come un nemico degli Stati Uniti, non così l’Iraq, che anzi è classificato come alleato e come tale ostentato al mondo. Come si vede, quando ci sono di mezzo interessi geopolitici, non c’è molta differenza di trattamento tra amici e nemici.