Morto un mullah se ne fa un altro...
Tempo di lettura: 2 minutiIl 22 maggio è stato ucciso il mullah Mansour, leader dei talebani, colpito da un drone Usa al confine tra Pakistan e Afghanistan. Un omicidio mirato che avrà un «impatto rilevante» sul movimento jihadista legato ad al Qaeda, come scrive Jason Burke sulla Repubblica del 23 maggio. Egli infatti era divenuto il capo dei talebani dopo che questi avevano dovuto ammettere la morte del mullah Omar, a lungo tenuta nascosta.
Nel suo articolo, Burke accenna a possibili scenari futuri: la morte del leader potrebbe portare a una lotta intestina tra le varie fazioni armate afghane e a una frammentazione dell’articolato ambito dei talebani, che si indebolirebbero. Ciò potrebbe favorire le forze di contrasto afghane, appoggiate dagli Stati Uniti e dalla comunità internazionale e forse potrebbe favorire quei negoziati di pace finora mai decollati.
E però tale frammentazione, scrive Burke, rischia anche «di consentire all’Is di stabilire una testa di ponte nel Paese. Finora lo Stato islamico non ha lesinato sforzi per affermare la sua presenza in Afghanistan, ma è riuscito ad attirare dalla sua solo una manciata di comandanti di seconda fascia. È probabile che le cose ora cambieranno»
.
«Un’espansione dell’Is in Afghanistan – continua Burke – sarebbe uno sviluppo inquietante. I Taleban non sono mai stati coinvolti direttamente in attacchi terroristici al di fuori del paese». Infatti finora i loro obiettivi sono stati limitati, «locali». Se invece l’Is «riuscisse a insediarsi in Afghanistan, cercherebbe di usare il paese come base per attentati internazionali, esattamente come ha fatto con la Siria negli ultimi anni
».
Nota a margine. Scenario plausibile quello tracciato da Burke. Che certo non è un mistero per gli analisti della Cia o della Nsa americana. Da capire allora perché tale iniziativa, che rischia di rilanciare l’attivismo dell’Is, proprio ora che ha iniziato a perdere colpi in Siria e Iraq.
E resta il problema di una strategia di contrasto al terrorismo e allo jihadismo internazionale basata su omicidi mirati buoni per la propaganda quanto inutili ai fini di contrasto del terrorismo: morto un mullah se ne fa un altro e il Terrore globale prolifera.
Eppure da decenni si persegue in questa vana strategia, mentre sarebbe molto più utile usare risorse e intelligence per prosciugare le fonti di finanziamento del Terrore. Si tratta di scelte non certo improvvisate, che suscitano non pochi interrogativi.