I negoziati di Jeddah e il bombardamento di Mosca

Iniziano i negoziati a Jeddah tra americani e ucraini. Ieri è arrivato anche Zelensky, dopo aver inviato una missiva di scuse formali a Trump. Poche le possibilità che si arrivi a un compromesso, questo primo summit può rappresentare al massimo un primo approccio alla questione. A segnalare le scarse possibilità, a meno di positivi imprevisti, due fattori.
Attacco a Mosca
Anzitutto, l’arrivo di Zelensky è coinciso con il più massivo attacco di droni contro Mosca. Diversi i velivoli intercettati, poche le vittime, ma l’attacco non aveva altro scopo se non quello di far dilagare la paura nella capitale russa, costringendo Putin a ordinare un contrattacco massivo. Una strage di civili ucraini da ostentare alla pubblica opinione mondiale renderebbe più improbo all’amministrazione Trump far digerire un accordo.
In questo, c’è il precedente di Bucha, quando la messinscena dei civili ucraini brutalmente uccisi dai russi inflisse un vulnus alle trattative in corso a Istanbul, vanificate del tutto quando, pochi giorni dopo la propalazione delle asserite atrocità russe, Boris Johnson costrinse Zelensky a far saltare il tavolo.
E sembra che gli inglesi siano ancora al lavoro per far fallire i negoziati. Più che probabile che ci sia lo zampino loro, e forse dei francesi, dietro l’attacco alla capitale russa, dal momento che sarebbe stato impossibile senza il supporto di intelligence sofisticate straniere e che gli Usa stanno lavorando per un accordo tra Kiev e Mosca, quindi non hanno alcun interesse a esacerbare ulteriormente gli animi (e peraltro, hanno tolto il supporto alle forze ucraine).
Al di là delle supposizioni sull’attacco, è certo che il Regno Unito e la Francia stiano cercando di avvelenare i pozzi delle trattative saudite, dal momento che Zelensky si è presentato all’appuntamento portando con sé un asserito piano di pace stilato tra Londra e Parigi.
Il piano franco-britannico
Il piano prevede un cessate il fuoco di aria e di mare, mentre consente ai belligeranti di continuare a scontrarsi via terra. Difficile che la Russia lo possa accogliere, dal momento che, più che un piano di pace, è una manovra per limitare le sue capacità belliche perché hanno il pieno dominio dei cieli.
Mentre la moratoria degli attacchi via mare avrebbe come unica conseguenza rivitalizzare il commercio navale ucraino, fiaccato dal blocco russo del Mar Nero, e l’apertura di nuove rotte di rifornimento per le sue esauste truppe.
“Gli autori di questo piano – spiega Strana – si aspettano che la Russia respinga la proposta, perché gli attacchi aerei russi causano più danni all’Ucraina di quanti ne causino quelli ucraini alla Russia. Dopodiché Vladimir Zelensky e gli europei potranno dire a Trump: guarda, noi siamo per la pace, ma la Russia si oppone, quindi fermate i negoziati con Vladimir Putin, ripristinate gli aiuti all’Ucraina, fornite più armi e varate nuove sanzioni contro la Federazione Russa per forzare la pace, nel frattempo la guerra proseguirà”.
Quanto all’accordo sullo sfruttamento delle risorse di Kiev, richiesto dagli Usa, probabile che Kiev sia molto più flessibile di prima perché potrebbe essere un modo per legare l’amministrazione Trump al proprio destino. Se Trump spera con esso di acquisire convergenze alla sua prospettiva di pace, gli ucraini sperano di comprare lui.
Witkoff a Mosca e l’offensiva di Kursk
Dopo gli incontri di Jeddah, sui quali attendiamo nuove, l’uomo delle trattative di Trump, Steve Witkoff, si recherà a Mosca per incontrare Putin. Lo annuncia Axios ed è probabile che l’incontro verterà sui temi più spinosi del momento: Ucraina e Gaza (tentare di risolvere quest’ultima crisi è la sua missione principale).
In attesa di sviluppi, va registrato che il Segretario di Stato Marco Rubio ha dichiarato che l’Ucraina deve rassegnarsi alla cessione di parte dei suoi territori, come d’altronde richiede il realismo, mentre prosegue l’offensiva su vasta scala dei russi nella regione di Kursk.
Migliaia di soldati ucraini rischiano di rimanere accerchiati, dopo di che non potranno che arrendersi o venire decimati. Tale attacco massivo serve a spazzare via l’opzione ucraina che stava alla base dell’attacco contro la regione russa, sferrato nella convinzione di poter controllare il territorio russo fino a un eventuale negoziato, nel quale il territorio russo sarebbe stato ceduto in cambio del ritorno del Donbass a Kiev.
Il sacrificio di decine di migliaia di uomini, tanto è costata questa strategia di Kiev, è stato vanificato dall’attuale offensiva russa. Si arriverà alla tregua, semmai ci si arriverà, con Kursk di nuovo sotto il controllo di Mosca. Non è stato l’unico tragico errore di Kiev, avendone inanellati molteplici dall’inizio del conflitto.
Ma non per questo recede dalla sua posa muscolare né i responsabili di tanto inutile sangue sono stati chiamati a rispondere dei loro disastrosi errori: l’essere beniamini dell’Occidente li rende inattaccabili. E questa non è una tragica colpa di Kiev, ma dei suoi sponsor.