Netanyahu e il nuovo corso israeliano
Tempo di lettura: 4 minutiNetanyahu si è ripreso lo scettro. E stavolta potrà costituire un governo fortissimo, sostenuto solo da forze di ultradestra, tra cui spicca quella guidata da Ben Gvir, la vera rivelazione di queste elezioni.
Così un editoriale di Haaretz: “Il sionismo religioso , il partito che ha distorto il progetto sionista e lo ha trasformato da casa nazionale del popolo ebraico in un progetto di suprematismo ebraico conservatore, di destra, razzista e religioso, nello spirito del maestro e rabbino di Ben Gvir, Meir Kahane, è ora la terza forza politica più grande in Israele. Questo è il vero, agghiacciante significato delle elezioni tenutesi martedì”. Parole pesanti, che riecheggiano quelle di un altro articolo di Haaretz, firmato da Yossi Klein, dal titolo: “Ora è ufficiale: il fascismo siamo noi”.
Gli sconfitti si interpellano su cosa non abbia funzionato e tanti hanno addossato la colpa al premier uscente Yair Lapid, che ha lavorato solo per se stesso, sottraendo consensi ai partiti di sinistra, che in tal modo non hanno superato la soglia di voti necessaria per entrare nella Knesset.
Netanyahu: nessuna differenza tra destra e sinistra…
La vittoria di Bibi è stata favorita anche dall’usuale astensionismo degli arabo-israeliani, sui quali invece contava il centro-sinistra per sbarrare la strada al sempiterno Netanyahu (France 24). In realtà, gli arabo-israeliani nutrono scetticismo verso tutte tutte le forze politiche, tanto che hanno accolto l’esito del voto non con allarme, ma con indifferenza.
Un atteggiamento sintetizzato dal commento dal premier palestinese Mohammad Shtayyeh: “La differenza tra Benny e Bibi – Benny Gantz e Bibi Netanyahu – […] è la stessa che c’è tra Pepsi Cola e Coca-Cola” (per quanti non conoscono la politica israeliana, Gantz è uno dei leader del centro-sinistra).
Un’idea condivisa da Gideon Levy, che su Haaretz scrive: “Cosa pensavi che sarebbe successo? Cosa pensava la sinistra sionista, che è caduta in coma dopo gli accordi di Oslo? Che fosse possibile tornare al potere uscendo dal coma? A mani vuote? Senza alternativa e senza leadership? Solo sulla base dell’odio per Netanyahu? A parte questo, non aveva nulla da offrire”.
“Nessuno dovrebbe sorprendersi per quanto è accaduto. Non poteva essere altrimenti. Tutto è iniziato con l’occupazione – scusate l’accenno fastidioso al cliché – ma è lì che è iniziato davvero, ed è necessariamente culminato con un governo impregnato di razzismo e voglia di deportazione [dei palestinesi ndr]”.
“Cinquant’anni di istigazione all’odio contro i palestinesi e di terrore nei loro confronti non potevano culminare con un governo di pace. Cinquant’anni di sostegno israeliano quasi spalla a spalla, dalla sinistra e dalla destra sioniste, all’occupazione, non potevano finire in nessun altro modo se non con Ben-Gvir portato sugli scudi come un eroe popolare”.
“Un’occupazione senza fine non poteva che portare al governo Benjamin Netanyahu-Itamar Ben-Gvir. Perché, data l’occupazione, allora devi abbracciare la sua versione più genuina, quella che non è minimamente imbarazzata al riguardo: la versione di Ben-Gvir”.
“Era semplicemente impossibile continuare con le illusioni – ebraiche e democratiche, di un’occupazione illuminata, temporanea – e tutto quello stanco repertorio di frasi. Era arrivato il momento della verità, ed è ciò che Netanyahu e Ben-Gvir ci diranno”.
Tante e non propriamente graziose le incognite che incombono sul futuro. All’interno della politica israeliana potrebbe marcarsi il divario già esistente tra Bibi e i suoi alleati di ultradestra, che sembrano ansiosi di strappargli lo scettro, come rivelato da una conversazione riservata, e misteriosamente trapelata (Timesofisrael).
Ma Netanyahu è una vecchia volpe, difficile da mandare in pellicceria, tanto che già alcuni analisti israeliani prospettano che in futuro scaricherà uno o entrambi gli scomodi alleati – invisi agli Stati Uniti (Axios) – per formare un governo più presentabile. Una crisi (una guerra con l’Iran, per esempio), richiedendo l’unità nazionale, favorirebbe tale sviluppo.
I palestinesi, l’Iran e l’Ucraina
Al di là degli interna corporis della politica israeliana, la prospettiva che il conflitto con i palestinesi raggiunga picchi drammatici resta purtroppo reale. Ed è presumibile che l’esito elettorale segni una svolta anche per lo scontro con l’Iran, verso il quale Netanyahu nutre una vera e propria ossessione.
Non sembra affatto un caso che, subito dopo le elezioni israeliane, Biden abbia giurato di “liberare l’Iran“, frase che indica un rapido allineamento al nuovo vento e che riecheggia le parole di George W. Bush in occasione della guerra irachena (alla quale il senatore Biden diede il suo consenso). Nel caso, le bombe cadranno anche sulle teste di quei manifestanti e quelle manifestanti oggi esaltati dai media occidentali per il coraggio con cui stanno sfidando le autorità.
Resta da capire se cambierà l’atteggiamento di Israele verso la guerra ucraina, rispetto alla quale, pur condannando l’invasione russa, Tel Aviv ha osservato un prudente distacco. Secondo tanti analisti Bibi sarà più interventista, cosa che aggraverebbe vieppiù il conflitto che avrebbe bisogno più di pompieri che di incendiari.
In questo quadro alquanto fosco, ci permettiamo di riferire un’analisi in controtendenza apparsa su Ria novosti: “in un’intervista con USA Today alla fine di ottobre, Netanyahu ha detto che se vincesse, prenderebbe in considerazione la possibilità di fornire armi. Ma preferisce ancora una soluzione diplomatica del conflitto. E gli è già stato chiesto di mediare”.
“Sotto il governo uscente, abbiamo assistito a un periodo di raffreddamento [dei rapporti tra Tel Aviv e Mosca ndr]”, ha ricordato il politologo Stanislav Tarasov. “Ciò ha influito anche sull’approccio alla crisi ucraina. Ma Netanyahu ha criticato costantemente Lapid. C’è un’intesa personale tra Putin e Netanyahu, una stretta collaborazione e la possibilità di nuove soluzioni”.
“Come sottolinea l’esperto, sotto Netanyahu c’è stato un processo di riconciliazione tra Iran e Israele. ‘I negoziati, per quanto ne so, si sono svolti a porte chiuse – e con la mediazione di Mosca. Credo che, per quanto riguarda l’iran, con il nuovo governo l’intensità delle passioni si attenuerà e la Russia riprenderà il suo impegno. Israele è pronto per facilitare un accordo con Kiev. Cioè, la mediazione [israeliana con Kiev] in cambio della mediazione [russa con l’Iran] è possibile’, conclude Tarasov”..
Possibile che quella del politologo russo sia una pia illusione, ma l’analisi, distinguendosi da altre prodotte in fotocopia, meritava una menzione, in particolare per l’accenno agli incontri segreti Netanyahu-iraniani.
Più realistica la conclusione del media russo: “Gli analisti concordano sul fatto che Israele, pur essendo un alleato chiave degli Stati Uniti, non rischierà i suoi legami consolidati con la Russia e continuerà a evitare dure dichiarazioni contro Mosca”.