Netanyahu e lo stratagemma della Philadelphi route
“Netanyahu ha deciso di non trattare sugli ostaggi alcune settimane fa e ha scoperto che la Philadelphi è una strategia efficace”. Così il titolo di un articolo di Haaretz che riporta l’indiscrezione di una fonte governativa, dove la Philadelphi route è la zona cuscinetto tra la Striscia di Gaza e l’Egitto, che il premier israeliano vuole che resti sotto il controllo di Tel Aviv.
Una richiesta aggiunta alla proposta per un cessate il fuoco che Hamas aveva accettato a luglio e sulla quale si è impantanato il negoziato tra le parti, dal momento che tale condizione risulta inaccettabile per la milizia islamica e che Netanyahu resta fermo sul punto, nonostante le pressioni interne e internazionali per recedere.
Controllare la Philadelphi route, ha dichiarato il premier israeliano, è “un imperativo strategico” perché “se Israele ne perde il controllo, Gaza diventerà un regno del terrore” e potrà ripetere l’attacco del 7 ottobre.
Tale ostinazione condanna a morte una moltitudine di palestinesi e gli ostaggi israeliani ancora in mano ad Hamas, come da accuse di larga parte della società civile e politica israeliana e di tanti alti gradi dell’esercito e dell’intelligence.
Nell’accreditare tale accusa, Zvi Bar’el scrive su Haaretz che la “decisione del gabinetto di Sicurezza riflette non solo l’ignominia con cui si è data priorità a questa vuota ‘strategia’ rispetto alla vita umana, come se riguardasse un luogo sacro o un simbolo del ritorno alla Terra Promessa. Ignora anche la posizione dell’esercito e del personale dello Shin Bet [ramo dell’intelligence israeliana ndr] i quali credono che Israele possa rinunciare al controllo della route […]. Ma, cosa più importante, la decisione ignora maliziosamente la storia”.
“Maliziosamente perché è impossibile che nessuno nel gabinetto di sicurezza ricordi che l’esercito in precedenza controllava la Philadelphi route e che ciò non ha impedito ad Hamas di accumulare armi e lanciare attacchi”.
L’occupazione non ha impedito gli attacchi
“[…] È impossibile – prosegue Bar’el – che nessuno del gabinetto di Sicurezza ricordi che, anche quando l’esercito controllava tutto il territorio di Gaza tra il 1967 e il 2005, l’anno del ritiro, Israele è stato ugualmente colpito da colpi di mortaio e razzi Qassam lanciati dalla Striscia”.
Infatti, secondo diversi studi riportati nell’articolo di Bar’el, “tra il 1967 e il 2005, 230 israeliani e circa 2.600 palestinesi sono stati uccisi a Gaza. Dal dicembre 1987, l’inizio della prima intifada, fino alla firma dell’Accordo di Oslo avvenuta sei anni dopo, sono state uccise 29 persone, tra soldati e civili israeliani. Dal 1993 al 2000, quando è iniziata la seconda intifada, sono stati uccisi 39 israeliani”.
“In un anno e mezzo, da quando cioè il premier Ariel Sharon ha annunciato il suo piano per abbandonare Gaza fino all’effettivo ritiro, a Gaza sono stati uccisi 52 israeliani. E, durante la seconda intifada, sono stati sparati dalla Striscia circa 500 razzi e 6.000 colpi di mortaio. In tutto questo tempo Israele ha avuto il controllo completo non solo della Philadelphi route, ma di tutta Gaza“.
“Sotto il naso dell’esercito venivano scavati tunnel e affluivano armi, munizioni e combattenti di Hamas, della Jihad islamica e di altri gruppi. Andavano e venivano dal Sinai come se viaggiassero su un’autostrada. Secondo i dati analizzati dal Meir Amit Intelligence and Terror Information Center, tra il 2000 e il 2005 le milizie di Gaza hanno realizzato 15.057 attacchi terroristici sia all’interno della stessa Gaza che contro Israele”.
“I sostenitori della destra parlano di ‘un’era di tranquillità’ prima del ritiro, quando la presenza dell’esercito a Gaza sarebbe riuscita a prevenire gli attacchi terroristici e i missili. E parlano di ‘un’era di guerra’ causata dal ritiro. È una narrazione totalmente infondata e fraudolenta che il governo e il primo ministro stanno cercando vendere all’opinione pubblica”.
Ripristinare la sovranità israeliana su Gaza
In realtà, secondo Bar’el, quando Netanyahu dice di volere il controllo della Philadelphi “sta solo usando la route come una leva per l’occupazione perpetua di Gaza. Ciò perché è impossibile controllare la Philadephi route senza controllare le strade che vi conducono. E non c’è modo di difendere i soldati che la pattugliano senza difendere gli spazi e i quartieri adiacenti”.
“La Philadelphi route non è un sentiero per capre usato da escursionisti amatoriali. La ragione ufficiale per controllarla è combattere il contrabbando dal Sinai a Gaza, ma quando Netanyahu e il suo gabinetto hanno deciso che l’esercito vi sarebbe rimasto hanno messo insieme un pacchetto completo, comprensivo dell’occupazione. Come ha detto lo stesso Netanyahu: ‘Resteremo a Gaza finché sarà necessario'” [bizzarro: è la stessa formula usata dagli Usa per quanto riguarda il sostegno all’Ucraina… stessa regia neocon, poca fantasia ndr].
“Questa è la traduzione ‘strategica’ del controllo della route, per il quale gli ostaggi possono essere sacrificati. Si tratta di un obiettivo sacro, perché dovunque si trovi l’esercito si possono costruire insediamenti, ripristinando la sovranità e la gloria […] l’accordo sugli ostaggi è l’unico fattore che può salvare Israele dall’impantanarsi nelle sabbie di Gaza. Ma gli ostaggi sono un ostacolo alla realizzazione della strategia finalizzata al ritorno a Gaza ed essi saranno sacrificati sull’altare della ‘route‘, diventata il simbolo di una presunta sicurezza totale”.
La Philadelphi route lastricata di cadaveri
La prova che la presenza dell’esercito non garantisce la sicurezza totale, continua Bar’el, la si riscontra in Cisgiordania: “È impossibile sostenere che l’esercito non sia ‘presente’ in Cisgiordania, ma le armi vi arrivano dalla Giordania, vengono rubate dalle basi militari e arrivano ai terroristi tramite le gang criminali israeliane. Le autobombe non hanno bisogno di tecnologia iraniana avanzata o di terre rare” [il riferimento è al presunto appoggio militare di Teheran ai palestinesi ndr.].
“La prima Intifada si sviluppò e si diffuse sotto un regime di occupazione, quando l’esercito controllava la Philadelphi route; la presenza dell’esercito non impedì il rapimento e l’omicidio di tre adolescenti in Cisgiordania nel giugno 2014. E la magica ‘presenza’ dell’esercito in Libano non aiutò gli abitanti della Galilea quando Hezbollah lanciò centinaia di Katyusha e missili contro Israele negli anni ’90”.
Quindi, Bar’el ricorda come Israele non sia “l’unico paese che ha sostenuto che un’occupazione a lungo termine garantisce la sicurezza”. E fa l’esempio della guerra irachena, con Bush che ebbe a dichiarare “missione compiuta” il 1 maggio del 2003, mentre la guerra che si protrasse ben più a lungo, per altri anni (e, peraltro, gli Usa l’hanno pure persa, essendo Baghdad passata dall’orbita americana dell’era di Saddam Hussein a stabilire un rapporto privilegiato con l’Iran).
In aggiunta, Bar’el annota che gli Usa avevano almeno uno straccio di strategia per il periodo post-bellico, nell’ottica di ricostruire il Paese a proprio piacimento e con un governo a essi favorevole, mentre Israele non ha nessun piano simile per la Striscia. Israele, infatti, “non ha nessuna intenzione di istituire un governo palestinese alternativo ad Hamas e la Philadelphi route finirà per trasformarsi in un’autostrada lastricata dai cadaveri degli ostaggi”. E da molti più cadaveri di palestinesi, tanti dei quali bambini, va aggiunto per doverosa, tragica, completezza.