20 Novembre 2018

Netanyahu tra Gaza e Siria

Netanyahu tra Gaza e Siria
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Netanyahu è rimasto in sella grazie all’esercito. A rivelare il retroscena è il sito Debka, che spiega come i militari israeliani abbiano appoggiato pubblicamente la decisione del premier israeliano di non attaccare Gaza, come invece volevano i suoi alleati di governo.

I militari “hanno giudicato ‘basso’ il livello della minaccia di Hamas e sostenuto che il movimento islamista stava evitando il confronto”, scrive Debka.

“Non era il momento per un’operazione [militare]”. Invece hanno consigliato di capitalizzare la ‘debolezza’ di Hamas per portare avanti le trattative diplomatiche”.

Netanyahu vs Lieberman

Insomma, quella di Netanyahu è stata una scelta, per fortuna, più realista. Anche se non è certo per un ragionamento siffatto che il premier israeliano ha deciso di evitare un’altra guerra a Gaza.

In realtà da sempre Lieberman e Netanyahu avevano divergenze riguardo i pericoli incombenti su Israele, veri o asseriti che fossero.

Se l’ex ministro della Difesa, dimessosi per il dietrofront di Netanyahu su Gaza, era stato meno consequenziale riguardo l’asserita minaccia iraniana, ritenendo primario un confronto con Hamas, il premier da tempo è concentrato su Teheran, sulla quale vuole rivolta tutta l’attenzione dell’apparato di sicurezza israeliano, derubricando Hamas a problema secondario.

Opzione, quest’ultima, che ora Netanyahu può dispiegare più liberamente, avendo ridotto al silenzio il suo rivale Bennet, l’unico che veramente teme per la sua presa sulla destra religiosa, e allontanato da sé il fastidioso Lieberman.

Avendo su di sé tutto il potere per scatenare una guerra, il futuro del confronto con l’Iran, vera ossessione di Netanyahu, appare più enigmatico.

Data la situazione i rischi sono alti, in particolare in Siria, dove la presenza iraniana, vera o asserita che sia, è cruccio irrevocabile di Netanyahu.

Ad oggi la deterrenza russa è freno efficace, ma sono possibili pericolosi incidenti di percorso.

Siria: il Terrore si coalizza

Ciò anche perché la Siria sta vivendo momenti cruciali, dove le prospettive di pace che sembrano aprirsi possono innescare nervosismi.

Con la conquista di As-Suwayda, strappata all’Isis, l’esercito siriano ha completato le sue operazioni nel meridione, ormai tutto sotto il controllo di Damasco. Ma tante ancora le criticità e le incognite.

Una su tutte il destino di Idlib, a Est, che nonostante l’accordo turco-russo per neutralizzare la sacca jihadista ivi incistata, con la creazione di una zona cuscinetto a separarla dal resto del Paese, resta ancora ferocemente in armi.

Di questi giorni l’annuncio che tutte le fazioni jihadiste si sono riunite sotto l’egida di Hayat Tahrir al-Sham, ex al Nusra e già al Qaeda, contro Damasco.

Un califfato terrorista in piena regola, dunque. Se una tale entità si fosse manifestata in Francia o negli Stati Uniti sarebbe stata incenerita con il napalm.

In Siria è altra cosa. Se Damasco provasse ad attaccarla, Stati Uniti e Francia, e altri valorosi guerrieri d’Oriente e Occidente, correrebbero subito in suo soccorso, come minacciato apertamente nei mesi scorsi.

Minacce che peraltro hanno dato tempo a Tahrir al-Sham di assimilare a sé tutte le altre bande armate dell’area. È il meccanismo, deve essere così…

Da Astana a Buenos Aires

E però alcuni spiragli si intravedono. In particolare colpisce la data in cui è stata convocata la nuova conferenza di Astana, la capitale kazaka dove da tempo Iran, Russia e Turchia trattano il conflitto siriano.

Si terrà a fine novembre, negli stessi giorni in cui Trump e Putin si vedranno al G20 di Buenos Aires. Coincidenza non casuale.

Alcuni analisti hanno visto nella concomitanza un chiaro segnale di indifferenza di Putin ai progetti di Trump sulla Siria, il cui destino il presidente russo legherebbe appunto a un altro tavolo.

In realtà è un modo per rafforzare l’incontro, potendo Putin parlare su due tavoli differenti con interlocutori diversi in contemporanea.

Ieri la cerimonia per il completamento del TurkStream, gasdotto che porterà il gas russo fino al Mediterraneo. Uno strumento che Putin ha usato per legare a sé Erdogan.

Troppo spesso le risorse energetiche sono state causa di conflitti. Nel caso specifico sono state fattore distensivo non indifferente.

 

Nella foto: Banksy, Muro di Gaza