Niger: un'altra guerra per la democrazia?
Tempo di lettura: 3 minutiSegnali contrastanti per la crisi del Niger. Di ieri la riunione straordinaria dell’Ecowas che avrebbe dovuto decidere se intraprendere o meno un intervento armato nel Paese per eliminare i golpisti che hanno preso il potere.
Il comunicato finale della riunione è un inno alla contraddizione: mentre si dichiara che l’Ecowas è determinato a “a mantenere tutte le opzioni sul tavolo per la risoluzione pacifica della crisi”, allo stesso tempo si è deciso di mobilitare le forze armate “per ripristinare l’ordine costituzionale nella Repubblica del Niger”.
Niger, tra bombe e diplomazia
Contraddizione che si può sciogliere in vari modi. Forse si è preso tempo in attesa delle decisioni finali di Washington e Parigi, che vogliono intervenire per diversi motivi. Parigi perché teme un contraccolpo sui costi dell’importazione dell’uranio necessario alle sue centrali atomiche e un effetto domino della ribellione sulle sue ex (e attuali) colonie. Washington perché il Niger è parte integrante e importante della sua proiezione africana e perché teme il dilatarsi dell’influenza russa sulla regione.
Ma sia Parigi che Washington sono anche coscienti dei rischi connessi a imbarcarsi in una nuova avventura bellica, dopo i rovesci subiti in Ucraina. Da qui un impercettibile freno, più a Washington che a Parigi, alla follia bellicista alla quale si erano consegnati.
Follia ben evidenziata dalla vice-segretaria di Stato Usa Victoria Nuland che, dopo la sua minacciosa visita in Niger nella quale ha tentato di intimidire il nuovo governo nigerino senza riuscirci, nella conferenza stampa in cui riferiva del viaggio e ribadiva la priorità USA per una soluzione diplomatica, si è lasciata sfuggire un cenno rivelatore.
Infatti, ha dichiarato che da quando è iniziata la crisi in NIger il Segretario di Stato Anthony Blinken “si è tenuto in continuo contatto con il presidente della Nigeria Tinubu”. Va ricordato che il 4 agosto Tinubu ha chiesto al Senato del suo Paese di autorizzare un intervento armato contro Niamey, ottenendo un secco “no”.
Non sappiamo se la mossa sia stata suggerita da Blinken, anche se sospettiamo sia proprio così. Di certo il Capo del Dipartimento di Stato ne è stato informato e di certo non ha posto un veto alla determinazione di Tinubu, che sarebbe risultato decisivo (dati anche gli stretti rapporti che legano il presidente nigeriano agli States).
La Francia sembra però ferma nella sua posa muscolare, come denota il fatto che, prima della riunione dell’Ecowas, ha effettuato un bombardamento aereo contro presunti obiettivi terroristi ai confini del Niger.
Niamey ha protestato per un’asserita violazione del suo spazio aereo, Parigi ha replicato che l’operazione era stata concordata con Niamey. Ma, al di là dalla veridicità delle due versioni, la coincidenza temporale con l’assise dell’Ecowas non lascia dubbi sull’intento intimidatorio dell’operazione.
Dagli USA, però, sembra provenire uno spiraglio per le diplomazia con l’incontro tra il ministro degli Esteri algerino Ahmed Attaf e Thony Blinken nel quale, come riferiva Le Monde, Stati Uniti e Algeria potrebbero aver trovato una qualche convergenza sulla crisi.
Critica dell’ingerenza francese nella regione, con profondi legami con Niger e Mali, l’Algeria fin dall’inizio ha evocato una soluzione pacifica alla crisi e ammonito che “non ci sarà soluzione senza di noi”. Date le premesse, Le Monde concludeva che “l’Algeria ha il profilo di un mediatore accettabile da tutte le parti”.
Gli USA e l’opzione per i poveri
Detto questo, è arduo pensare che i neocon USA si rassegnino all’idea di rinunciare a una guerra, data la loro notoria aggressività. E la decisione dell’Ecowas di mobilitare l’esercito lascia aperti spazi di manovra in tal senso.
Peraltro, era difficile che l’Ecowas decidesse l’invasione nella sessione di giovedì, perché non si inizia una guerra senza aver prima approntato le forze armate, operazione peraltro complicata dalla necessità di coordinare eserciti di diversi Paesi. Così rimandare la decisione potrebbe esser stato solo un escamotage per prepararsi.
Detto questo, le guerre si sa come e quando iniziano, non si sa quando e come finiscono e quella che si prospetta all’orizzonte, se la situazione precipita, rischia di inghiottire l’intera regione (e l’Europa) nel caos.
Non solo per la presa di posizione di Mali e Burkina Faso, che si sono detti pronti a difendere Niamey, e per l’opposizione algerina, ma perché potrebbe offrire spazi di manovra ai movimenti anti-occidentali all’interno dei Paesi dell’Ecowas, anzitutto in NIgeria, dove tanti si oppongono a questa scellerata avventura, come evidenziato dal voto del Senato.
E il fatto che il nuovo governo nigerino goda di un largo supporto popolare, come dimostrano le manifestazioni di massa e l’accoglienza favorevole del nuovo governo civile creato ieri dai militari – che conservano la presidenza, la Difesa e l’Interno -, rende non solo l’invasione più ardua, ma anche più complessa la gestione del post conflitto (peraltro, si può notare che in altri golpe africani, i militari si son tenuti ben più stretto il potere).
Da notare, en passant, che in caso di invasione gli Stati Uniti si vedrebbero impegnati in guerra – indirettamente, ma non per questo con meno responsabilità – contro due tra i Paesi più poveri del mondo: Yemen e Niger. Singolare interpretazione dell’evangelica opzione per i poveri…
Infine, una notazione a margine: abbiamo visto fin troppo bene gli esiti disastrosi delle cosiddette guerre per la democrazia (Iraq, Libia etc). Non si esporta né si ripristina la democrazia a suon di bombe.
Quanto all’asserita democrazia che si vorrebbe ripristinare in NIger, resta ineludibile quanto ha scritto Elisabeth Sherif in una nota che abbiamo riportato in precedenza.