2 Febbraio 2023

Non solo Ucraina: le macellerie che l'Occidente volutamente ignora

Bambini congolesi scavano coltan a mani nude. Non solo Ucraina: le macellerie che l'Occidente volutamente ignora
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Mentre i mezzi di informazione ci bombardano quotidianamente con le cronache della guerra ucraina, dipingendo i russi come criminali che attentano alla libertà e alla sicurezza dei buoni, cioè dell’Occidente, nulla si dice di altre macellerie, che raccontano altre verità, cioè che i crociati che vogliono salvare il mondo dai cattivi non sono poi così buoni come si presentano. Per fortuna, a volte le informazioni scappano dalla maglia della censura e alcune di queste pecche emergono.

Iniziamo dallo Yemen, la guerra dimenticata, nella quale una coalizione a guida saudita, supportata dagli Usa, sta conducendo una guerra feroce per porre fine alla ribellione degli Houti, i quali hanno rovesciato il regime sanguinario pregresso, filo-saudita e filo-occidentale.

La guerra in Yemen e i profitti Usa

La guerra attuale è iniziata nel 2015, ma anche prima lo Yemen era preda di convulsioni violentissime, con gli Usa che vi hanno condotto incessanti campagne anti-terrorismo.

Per inciso, non solo quella campagna non ha portato all’eliminazione delle formazioni terroristiche, ancora presenti nel territorio, ma, per una strana eterogenesi dei fini tali, milizie sono ora di fatto alleate con la coalizione anti-Houti. A denunciare questa imbarazzante convergenza non è stato un media complottista o russo, bensì l’Associated Press, in una rara digressione dalla narrazione ufficiale.

Ma torniamo alla guerra del 2015. Così  Giozia Thayer su Antiwar: “Un’indagine (PDF) del Government Accountability Office ha documentato che gli Stati Uniti stanno addestrando la coalizione guidata dai sauditi e che gli Stati Uniti hanno truppe sul terreno in Yemen. Lo stesso Biden ha confermato che gli Stati Uniti hanno truppe nello Yemen in una lettera al Congresso dello scorso giugno”.

Un affare lucroso per l’apparato militar-industriale Usa, infatti “tra il 2015 e il 2021, gli Stati Uniti hanno inviato 54,2 miliardi di dollari in armi e servizi all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti”.

Quindi, il documento dettaglia tale spesa, aggiungendo che, oltre a questi, altri finanziamenti sono pervenuti alla coalizione sotto altre forme e ricorda anche come gli Usa avessero inviato soldi e armi prima dell’inizio della guerra, quando il presidente deposto dagli Houti era considerato una “pietra miliare della guerra al terrore”.

“Miliardi di dollari sono stati spesi per distruggere lo Yemen, uccidendo centinaia di migliaia di persone, ma gli Houthi controllano ancora Sanaa e AQAP [al Qaeda] è ancora attivo nel Paese [è destino delle guerre infinite portare caos e non conseguire l’obiettivo dichiarato]”.

Non solo, “il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ogni anno, a partire dal 2015, ha approvato delle risoluzioni per bloccare lo Yemen e impedire alle armi di arrivare al conflitto; tuttavia, l’embargo è riuscito solo a far morire di fame gli yemeniti”. Già, perché le armi, come si vede, arrivavano a fiumi altrove.

“In una conversazione telefonica del 9 febbraio 2022 con il re dell’Arabia Saudita, Salman bin Abdulaziz Al Saud, il presidente Biden gli assicurò che gli Stati Uniti avrebbero continuato a sostenere la guerra nello Yemen”.

“La telefonata è avvenuta un anno dopo che Biden aveva mentito al popolo americano annunciando che gli Stati Uniti avrebbero ritirato il proprio sostegno alla guerra in Yemen”. Una promessa solenne che Biden fece subito dopo la sua elezione

Il Defense Institute of International Legal Studies dell’Agenzia per la Difesa e la cooperazione alla sicurezza ha tenuto dei corsi in Arabia Saudita per illustrare ai militari della coalizione come prevenire le vittime civili,

Eppure, “nonostante la spesa di milioni di dollari per prevenire la morte di civili, 23.627 attacchi aerei della coalizione a guida saudita dal marzo 2015 hanno provocato di oltre 18.600 vittime civili, secondo lo Yemen Data Project”.

In realtà, i morti civili sono molti più, dal momento che una stima approssimativa delle vittime della guerra dello scorso marzo, dava 150mila vittime degli scontri e delle bombe: impossibile che siano quasi tutti combattenti. Tale numero, peraltro non dice tutto. Le morti indirette, causa scarsità di cibo e malattie, erano in totale 377mila (sempre stime approssimative, sono molte più). E 11 mila i bambini morti o mutilati, secondo l’Unicef, un morto ogni 9 minuti

Ma non per questo gli Usa hanno smesso di fornire armi ai militari della coalizione, evidentemente distratti. Una macelleria a ritmo continuo che sta devastando uno dei Paesi più poveri della terra, come ricorda il cronista.

Il cobalto del Congo

Un’altra macelleria, più silenziosa e ancora più dimenticata, è quella che si sta consumando nella Repubblica democratica del Congo. Qui da decenni ormai, vige il caos totale, alimentato dalla guerra infinita che dagli inizi degli anni ’90, quando ci fu il boom dei telefoni cellulari per inciso, devasta l’Est del Paese.

In questa zona imperversano i signori della guerra che si scontrano con l’esercito regolare di Kinshasa e le formazioni di auto-difesa tirate su dalla popolazione civile, in un’ininterrotta lotta continua, che a volte ha preso la forma di guerre vere e proprie. Un caos alimentato dall’estero: si vendono armi ai signori della guerra che le pagano con le risorse del ricchissimo sottosuolo.

Sottosuolo che è sfruttato grazie agli schiavi che i signori della guerra catturano nelle loro scorribande. Nelle miniere lavorano un po’ tutti, anche bambini e bambine, quando non sono usati per farne bambini soldato, i maschi, o alimentare il traffico internazionale della pedofilia.

In diverse altre note abbiamo descritto questa macelleria, spiegando che serve per depredare le ricchezze del Paese, in particolare il coltan, indispensabile alla tecnologia.

Non solo il coltan, anche il cobalto, “il cui consumo negli ultimissimi anni è esploso con l’aumento della mobilità elettrica e la necessità di batterie di lunga durata” (ISPI). E la Repubblica democratica del Congo ha la disgrazia accessoria di ospitare i giacimenti da cui viene estratto il “90 percento del cobalto mondiale”.

Lo riferisce il Daily Mail, che spiega come il cobalto serva “a produrre le batterie che alimentano le nostre vite guidate dalla tecnologia […]. Il cobalto è l’elemento chimico che si trova in quasi tutti i gadget tecnologici oggi sul mercato che utilizzano le batterie al litio: uno smartphone, un tablet o un computer portatile ne richiede pochi grammi, mentre un veicolo elettrico 10 kg” .

“Apple, MicrosoftGoogle, Tesla e altri [tanti i produttori di auto elettriche e  apparecchi tecnologici] insistono sul fatto che ai loro fornitori di cobalto chiedono i più alti standard [di tutela dei lavoratori] e di commerciare solo con fonderie e raffinerie che aderiscono ai loro codici di condotta”. Ma il Daily Mail ha pubblicato foto e video delle miniere della Repubblica democratica del Congo, da cui “molti di questi fornitori ottengono il cobalto”.

Inutile raccontare cose. Rimandiamo all’articolo che pubblica le immagini scioccanti di questo inferno in terra, che si perpetua ormai da decenni per garantire a Big Tech e ad altre industrie la possibilità di produrre i veicoli e gli apparecchi che usiamo ogni giorno a prezzi accessibili (la vita di un bambino congolese vale meno di uno smartphone..:).

La cosa tragicamente simpatica è che di questi orrori non si parla mai sui media ufficiali, nonostante siano in bella vista, come dimostra l’articolo del Daily Mail. Non bisogna disturbare il conducente, il quale peraltro lamenta che nella guerra ucraina sono in gioco le regole auree che l’Occidente ha garantito al mondo nel secondo dopoguerra. Queste foto rivelano molto più di altro l’ipocrisia sottesa a tali affermazioni.

L’articolo del Daily Mail spiega che il servizio si è giovato delle immagini fornite loro da Siddharth Kara, che ha scritto un libro sul tema. Lo pubblicizziamo anche noi, merita: Cobalt Red: How the Blood of the Congo Powers Our Lives.

Nota bene. Oggi il Papa si è recato nella Repubblica democratica del Congo, Una visita apostolica che porta un soffio di speranza nel cuore di tenebra del mondo. Si spera che abbia un seguito.