NYT: l'America deve riscoprire l'importanza dei limiti in politica estera
Tempo di lettura: 4 minutiSul New York Times Stephen Wertheim spiega come gli Stati Uniti, dopo la fine dell’Unione Sovietica, abbiano riscritto la storia della Seconda guerra mondiale per farne il fondamento delle guerre infinite e del loro dominio globale. Riportiamo ampi brani dell’articolo.
La vittoria della seconda e la paura della terza
L’America, scrive Wertheim, uscì vittoriosa dalla Seconda guerra mondiale, ma si conservò “sobria” a motivo delle “ferite” subite; e anche se il trionfo gli consegnò la “leadership mondiale, i suoi leader e i cittadini conservarono la paura di una terza guerra mondiale, che ritenevano tanto probabile quanto oggi sembra impensabile. Ed è forse questa è una delle ragioni per cui è stata evitata la catastrofe”.
“Per quattro decenni, i presidenti americani del dopoguerra si sono resi conto che la guerra calda successiva sarebbe stata probabilmente peggiore della precedente”.
“[…] Lo spettro della guerra su vasta scala ha tenuto sotto controllo le superpotenze della Guerra Fredda. Nel 1950, Truman inviò le truppe le statunitensi a difendere la Corea del Sud dall’invasione del Nord comunista, ma la sua determinazione aveva dei limiti”.
“Quando il generale Douglas MacArthur implorò Truman di bombardare la Cina e la Corea del Nord con 34 bombe nucleari, il presidente lo licenziò. Evocando il ‘disastro della seconda guerra mondiale’, disse alla nazione: ‘Non intraprenderemo alcuna azione che possa gravarci della responsabilità di iniziare una guerra su ampia scala, una terza guerra mondiale'”.
“L’estrema violenza delle guerre mondiali e la previsione di come sarebbe stata la seguente hanno influenzato anche le decisioni del presidente John F. Kennedy durante la crisi dei missili cubani”.
Dalla memoria al trionfo morale, dalla guerra ai videogiochi
Così durante la Guerra Fredda. Ma, prosegue Wertheim, “la memoria non è mai statica. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica e con il passare delle generazioni, la Seconda guerra mondiale fu rimodellata e presentata come un trionfo morale e non più come memento”.
“Negli anni ’90, un’ondata di film, di saggi storici e di libri iniziò a celebrare la ‘generazione magnifica’, mentre il giornalista Tom Brokaw consacrava coloro che avevano portato alla vittoria l’America. Sotto la loro leadership, gli Stati Uniti avevano salvato il mondo e fermato l’Olocausto, che retrospettivamente era diventato lo scopo essenziale della guerra, anche se fermare l’assassinio di massa degli ebrei europei non fu il vero motivo per cui gli Stati Uniti entrarono in guerra”.
“Una nuova generazione, non toccata affatto dalla grande guerra tra potenze, rimodellò il passato, celebrando la generazione precedente, ma semplificando le esperienze spesso varie e dolorose” di chi l’aveva vissuta.
“In questo contesto, la doppia lezione delle guerre mondiali – la richiesta all’America a guidare il mondo, ma avvertirla di non esagerare – si è ridotta a un’esortazione risoluta a sostenere e persino a espandere il potere americano. I presidenti iniziarono a invocare la seconda guerra mondiale per glorificare i combattimenti e giustificare il dominio globale americano”.
“Nell’anniversario di Pearl Harbor nel 1991, George HW Bush disse al paese che ‘l’isolazionismo favorì la creazione dei bombardieri che attaccarono i nostri uomini 50 anni fa’. Nel 1994, nel corso della commemorazione del 50° anniversario del D-Day, Bill Clinton ricordò come le truppe alleate si fossero unite ‘come le stelle di una maestosa galassia‘ e ‘hanno scatenato la loro furia democratica‘, una battaglia proseguita anche successivamente”.
“Nel 2004 fu eretto l’imponente World War II Memorial […] Inaugurando tale memoriale, a un anno dall’invasione dell’Iraq, George W. Bush, ebbe a dire: ‘Le scene dei campi di concentramento, i cumuli di corpi e gli spettrali sopravvissuti hanno confermato per sempre la chiamata dell’America a opporsi alle ideologie della morte’. Prevenire il ripetersi della seconda guerra mondiale non comportava più la necessaria prudenza; significava rovesciare i tiranni”.
Tutto ciò avveniva mentre la prospettiva del ripetersi di un conflitto su ampia scala andava svaporando. perché “la Russia post-sovietica vacillava e la Cina era ancora preda della povertà, “tanto che gli studiosi iniziarono a parlare dell’obsolescenza dell’idea stessa di una grande guerra”.
Costi e conseguenze di una guerra
Insieme a tale prospettiva si perse anche quella “di dover pagare costi significativi per le decisioni riguardanti la politica estera. Da quando la guerra del Vietnam sconvolse la società americana, i nostri leader hanno preso provvedimenti che avevano lo scopo di isolare l’opinione pubblica americana dai danni dei conflitti, grandi o piccoli che fossero: la creazione di un’esercito di soli volontari ha eliminato la leva; la potenza aerea ha offerto la possibilità di bombardare gli obiettivi da altitudini sicure; l’avvento dei droni ha permesso di uccidere con il solo telecomando”.
“[…] Non doversi preoccupare degli effetti delle guerre – a meno che non ci si arruoli per combatterle – è quasi diventato un diritto di nascita degli americani”. Ma ora quel diritto “è finito” ed è arrivato il “tempo di pensare alle conseguenze”.
“[…] Da quando, negli ultimi anni, le relazioni internazionali si sono deteriorate, i critici del primato globale degli Stati Uniti hanno spesso avvertito dell’incombenza di una nuova guerra fredda. Sono stato tra questi”, ma tale prospettiva “in qualche modo sottovalutava il pericolo”.
Infatti, “le relazioni con Russia e Cina non danno alcuna garanzia su tale prospettiva ‘fredda’. Durante l’originale Guerra Fredda, i leader e i cittadini americani sapevano che la sopravvivenza della nazione non era inevitabile. La memoria della violenza che aveva straziato il mondo era stata conservata e come memento di un destino fin troppo possibile nel caso di uno scontro tra superpotenze, e ciò fino alla sua sorprendente fine del 1989”.
“Oggi gli Stati Uniti si sono assunti nuovamente l’onere di contrastare le ambizioni dei governi di Mosca e Pechino. Quando lo hanno fatto in precedenza, vivevano all’ombra della guerra mondiale e hanno agito conservando una genuina e sana paura dell’altro. Oggi, dovremo apprendere tali lezioni senza quell’esperienza”.
Non solo, si può aggiungere che la hubrys degli anni precedenti, nei quali gli Stati Uniti si sono mossi in maniera sconsiderata, nulla importando dei limiti e delle conseguenze delle loro azioni, aumenta i pericoli di questa nuova fase.
Giustamente, Wertheim ricorda come Biden più volte abbia frenato su certe forzature, evocando il rischio della terza guerra mondiale (imposizione di una no fly zone sull’Ucraina, invio di missili a lunga gittata). Ma Biden è debole e i falchi, negli Usa e nella Nato, sono forti.
E gli imprevisti, nel corso di una guerra, appartengono alla normalità, con pericoli aumentati dalle spericolate forzature dei falchi di cui sopra (si ricordi il recente caso dei missili russi, cioè ucraini, caduti in Polonia). Le conclusioni le lasciamo ai lettori.