New York Times: per la controffensiva ucraina, anche il battaglione Azov
Tempo di lettura: 4 minutiSul New York Times un articolo sulla preparazione della controffensiva ucraina. Nella nota si dettagliano gli aiuti militari Nato pervenuti alle forze ucraine e si delinea un quadro per la controffensiva di primavera, con toni propri di un poema omerico, come si addice alla narrativa riguardante le magnifiche sorti e progressive dell’esercito ucraino e dei suoi nobili condottieri.
Milley: improbabile una vittoria ucraina quest’anno
Non si tratta di facile ironia, anche di questo certo, dal momento che tali narrazioni ne suscitano, piuttosto di una reazione istintiva alla leggerezza con la quale la propaganda decanta questa guerra, un modo per edulcorarne la tragicità – anche se non può eluderla del tutto come denota anche l’articolo in questione – che imporrebbe ben altro e più realistico approccio.
D’altronde non c’è scampo: se siamo di fronte a una guerra per procura, dove le morti ucraine contano relativamente – o nulla – rispetto al disegno generale, che è quello di fiaccare la Russia, allora far emergere il quadro reale dell’inutile mattanza che si sta consumando sui campi di battaglia non fa gioco.
Perché, se emergesse in tutta la sua crudezza, e nella sua crudezza venisse chiaramente enunciato che l’Ucraina non può ricacciare i russi da tutto il territorio ora controllato, non ci sarebbe che da dare spazio al negoziato. Necessario per evitare un’ulteriore inutile mattanza e ulteriori devastazioni del territorio ucraino.
D’altronde lo aveva detto chiaramente il Capo degli Stati Maggiori congiunti americano, generale Mark Milley, che certo non si può considerare un disfattista o un filo-putiniano, il quale aveva affermato appunto che l’Ucraina non può ricacciare i russi da tutto il territorio. Azzardandosi anche ad aggiungere che l’inverno ormai trascorso avrebbe potuto offrire una finestra di opportunità per i negoziati. Parole dal sen fuggite, che successivamente avrebbe dovuto smussare.
Se citiamo il generale Milley è perché, a quanto pare, si è ripetuto. In un’intervista rilasciata a Defence One ha detto che cacciare i russi dall’Ucraina entro quest’anno “è improbabile”, anche con l’ausilio degli armamenti Nato (e dei mercenari che stanno arrivando a fiumi, si potrebbe aggiungere).
“Non sto dicendo che non si può fare, ma che è difficile”, ha smussato ancora una volta, conscio delle reazioni che avrebbero potuto scatenare le sue parole nella macchina propagandistica pro-Kiev. Perché affermare che quest’anno non si vedrà la vittoria agognata, vuol dire che la sbandierata controffensiva ucraina ha le ali spuntate in partenza.
L’attesa controffensiva
L’eccitazione con la quale il New York Times riferisce i preparativi dell’attacco, suonano così alquanto dissonanti con le possibilità reali suggerite dal generale. Non che un attacco massivo ucraino non possa far sbandare e addirittura far ripiegare le forze russe, ma non conseguirà quella vittoria decisiva che tutti accreditano all’operazione.
Un’operazione che, peraltro, eroderà ulteriormente le forze ucraine, dal momento che le perdite in un attacco sono maggiori che in difesa, e che i russi si stanno preparando da tempo alla bisogna.
Al di là dell’esito misterico dell’operazione, essa viene descritta così dal NYT: “Nella controffensiva, è probabile che l’Ucraina lanci intensi bombardamenti di artiglieria su una ristretta area della prima linea, affermano gli analisti militari, seguiti dall’opera di squadre di sminamento e dall’assalto con i carri armati”.
“Si prevede che l’Ucraina colpisca nel sud, dove il terreno spazia da campi agricoli, con solo radi alberi a offrire ripari, a città e villaggi. Una spinta di circa 50 miglia sulla steppa dalle attuali linee del fronte alla città di Melitopol occupata dai russi dividerebbe il territorio controllato dai russi in due zone, reciderebbe le linee di rifornimento e metterebbe le basi russe site nella penisola della Crimea nel raggio di azione dell’artiglieria ucraina”.
Non ci voleva un genio per elaborare tale scenario, dal momento che è noto da mesi, da quando cioè i russi stanno approntando le difese del Sud del Donbass, cosa che complica vieppiù la vicenda.
Azov, simbolo e bandiera (o Bandera)
Ma la nota veramente stridente dell’articolo del NYT è quella di riferire con leggerezza quanto segue: “In uno degli esempi più eclatanti sulla ricostruzione dell’esercito, il ministero dell’Interno sta ricostituendo la decimata unità Azov, i cui soldati in servizio attivo sono stati uccisi, feriti o catturati durante l’assedio di Mariupol e la resistenza alle acciaierie Azovstal la scorsa primavera”.
Forse è inutile ribadire la vexata questio riguardo tale battaglione, la cui natura neonazista era conclamata prima della guerra ed è stata imbiancata successivamente.
Sul neonazismo della Azov ci limitiamo a riportare quanto scrisse, poco dopo l’inizio del conflitto, l’autorevole Rita Katz sul Washington Post e un articolo di Haaretz, che ci sembrano esaustivi, oltre a ricordare che nel 2019 il Congresso degli Stati Uniti votò per negare le armi Usa a tale battaglione a causa della sua ideologia (The Hill).
Il punto dolente riguarda il perché Kiev si sia data tanto da fare per ricostituire una unità tanto controversa, che poteva tranquillamente, e più opportunamente, essere relegata all’oblio della storia. Il fatto è che, a quanto pare, tale battaglione ha assunto un valore simbolico che Kiev non vuole perdere. Vuole vincere, e vincere con la bandiera della Azov a garrire al vento (facile il gioco di parole con Stepan Bandera, eroe dell’Azov e nazionale, su quest’ultimo punto vedi Haaretz).
Al di là della cortesia che in tal modo si fa ai russi, che vedono confermata la loro propaganda sulla necessità di de-nazificare il Paese confinante, tutto ciò non aiuta la propaganda amica, costretta a cercare in tutti i modi di dissimulare la natura di tale battaglione e il tetro simbolismo che esso cela.
Nonché l’ombra che tutto ciò getta sul governo di Kiev, che a quanto pare non riesce a fare a meno di certi controversi, per non dire inquietanti, simbolismi. Gli alleati di Kiev, senza i quali essa non potrebbe sussistere, dovrebbero forse battere un colpo, magari in via riservata. Se non per convinzione, almeno per opportunità.