New York Times: porre fine all'oppressione dei palestinesi
“L’impegno del governo israeliano a distruggere Hamas rischia di diventare un altro Santo Graal irraggiungibile. Una cosa che il 7 ottobre ha reso sorprendentemente chiara è che Israele non può garantire sicurezza ai suoi cittadini controllando milioni di palestinesi, ai quali vengono negati i loro diritti e la libertà e vivono sotto un sistema di violenza strutturale permanente e di disuguaglianza.
I sostenitori del ‘niente cessate il fuoco’ devono desistere dall’incoraggiare Israele ad aggrapparsi alla finzione storicamente screditata secondo cui la resistenza armata radicata in un popolo oppresso può essere eliminata con l’impiego di metodi militari ancora più feroci”. Così Daniel Levy sul New York Times. Levy è presidente del U.S./Middle East Project ed ha negoziato per conto degli israeliani con i palestinesi al vertice di Taba, al tempo del premier Ehud Barak, e per gli accordi di Oslo B al tempo di Yitzhak Rabin.
Nonostante tutto, occorre fare i conti con Hamas
“L’incapacità di Israele di offrire programmi dettagliati per la Gaza del dopoguerra – scrive Levy – indica il grado di disfunzione del pensiero israeliano. L’impegno spesso dichiarato della leadership israeliana a distruggere Hamas ignora la realtà di cosa sia questo movimento”.
“Hamas è un gruppo armato che sfrutta il terrorismo ma anche un movimento politico che ha vinto le elezioni e governa Gaza da più di 15 anni. Incarna anche un’idea, vale a dire che la resistenza è parte della lotta per la liberazione della Palestina. Hamas non è un gruppo nichilista esterno [al conflitto israelo-palestinese], in stile Isis; è profondamente radicato nel tessuto della società palestinese. La sua popolarità sicuramente aumenta non per la sete di sangue, ma piuttosto perché ai palestinesi sono chiuse altre strade per raggiungere la liberazione”.
E ciò anche perché l’autorità palestinese è stata screditata dall’aggressiva politica coloniale israeliana che, disattendendo gli accordi di Oslo, continuare a rubare terre ai palestinesi. “Sia l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina che la sua controllata, l’Autorità Palestinese, hanno bisogno di essere rinnovate e ampliate per aumentare la loro inclusività alla fine di questa guerra, compresa […] una rappresentanza di Hamas nell’OLP”.
“[…] Potrebbe sembrare un’idea irrealizzabile. Come ci si può aspettare che Israele si impegni, anche indirettamente, con un organismo politico in cui è rappresentato Hamas? La dura verità è che questo è esattamente ciò che significa affrontare un conflitto tragico, violento e prolungato”.
L’impunità di Israele alla radice delle attuali derive
“Esiste un percorso verso la sicurezza israeliana, e questo non può non comprendere sicurezza e diritti per i palestinesi. I precedenti governi israeliani alla fine hanno trattato con l’OLP, un tempo bandita [perché etichettata come terrorista]. Qualsiasi futuro governo che sia serio […] dovrà impegnarsi con un’OLP riformata in cui sia rappresentato anche Hamas” [può suonare utopico e alle orecchie di taluni anche come una bestemmia data la strage del 7 ottobre, ma ci limitiamo a riportare lo scritto, d’altronde si può però far notare che anche i palestinesi dovranno, del caso, trattare con una realtà politica che sta massacrando i loro bambini].
“Le nazioni che si sono opposte al cessate il fuoco possono credere che in tal modo stanno sostenendo l’impegno di Israele verso una legittima vittoria, ma l’attuale corso israeliano non fa altro che garantire la sua perpetua instabilità. Hamas non è la minaccia esistenziale che Israele pensa che sia, ma tale minaccia potrebbe essere rappresentata piuttosto dallo strapotere e dall’estremismo israeliano”.
“Più volte si è detto che ciò di cui Israele ha bisogno dai suoi amici e sostenitori è di essere tirato via dal precipizio. La garanzia da parte dell’America dell’impunità israeliana e la riluttanza ad affrontare in modo significativo la sofferenza palestinese hanno per troppo tempo deluso sia gli israeliani che i palestinesi”.
“Il 7 ottobre e le sue conseguenze possono essere un catalizzatore per ciò che prima era impensabile, nel bene e nel male. La strada del ritorno dall’inferno del ‘o noi o loro’ in cui nessuno vince inizia con l’umanizzazione dell’altro. Forse è una strada che alla fine ci ricondurrà alla creazione dei due Stati”. O forse ad altro, ipotizza Levy, che escluda muri di separazione tra i due popoli; sul futuro, avverte Levy, “non esistono soluzioni rapide o facili”, ma è arrivato il momento di usare “l’immaginazione politica per gettare le basi per un futuro di vita e speranza”.
Porre fine alla vendetta e liberare gli ostaggi
Nella parte di articolo non riportata, Levy spiega che urge arrivare a un cessate il fuoco prolungato, che possa favorire la liberazione degli ostaggi e ponga le basi per chiudere il conflitto. C’è resistenza sul punto, in particolare da parte di Netanyahu (che sa bene che alla fine della guerra rischia il collo). Ma “se Netanyahu continua a resistere, altri membri del suo gabinetto di guerra o della coalizione di governo potrebbero essere persuasi [a tale passo], anche se ciò significa sostituirlo a favore di una leadership nuova o provvisoria con l’approvazione della Knesset”. Di ieri l’editoriale più assertivo di Haaretz contro il premier, al quale intimava: “Vattene”.
Di uguale tenore l’intervista dell’ex presidente del consiglio transalpino Dominique de Villepin a Franceinfo (riportata da Moon of Alabama), della quale riportiamo due passaggi: “Si tratta essenzialmente di una politica di vendetta da parte del governo Netanyahu. Israele ha il diritto all’autodifesa, ma l’autodifesa non dà il diritto indiscriminato di uccidere le popolazioni civili“.
“Quando prendi di mira un’ambulanza, puoi sempre immaginare che ci fosse un terrorista in una delle ambulanze, oppure no. Ma il risultato è che ci sono bambini, donne che muoiono. Ogni bambino, ogni donna uccisa, sono terroristi in più. Per quanto riguarda l’obiettivo di Israele, ciò che Israele ottiene è esattamente l’opposto di ciò che desidera. Quindi oggi è essenziale cambiare questa logica e ritornare a una strategia solida”.
Bisogna fare di tutto per ottenere il rilascio degli ostaggi: “Ma non dimentichiamolo: anche il popolo palestinese è ostaggio di Hamas e di Israele. E Hamas, lo sappiamo, si preoccupa poco del popolo palestinese. Quindi dire ad Hamas: ‘non toglieremo l’assedio, non ci sarà una tregua umanitaria finché gli ostaggi non saranno rilasciati’, è un dialogo tra sordi”. In realtà, il mantra serve per eludere il problema, dal momento che il rilascio degli ostaggi costerebbe a Israele la liberazione di innumerevoli prigionieri palestinesi, cosa che né Netanyahu né altri vogliono perché sarebbe brandita come una vittoria di Hamas.