12 Giugno 2023

NYT: non si sa come definire la vittoria ucraina

Mezzi corazzati in movimento. NYT: non si sa come definire la vittoria ucraina
Tempo di lettura: 4 minuti

“Non c’è dubbio che l’iniziativa militare [delle forze ucraine] influenzerà le decisioni  sul futuro sostegno all’Ucraina e i dibattiti su come garantirne il futuro. Ciò che rimane poco chiaro, invece, è ciò che Stati Uniti, Europa e Ucraina identificano con l’espressione di controffensiva ‘riuscita’”. Così sul New York Times del 10 giugno.

Vittoria ucraina: l’incertezza dietro i proclami 

Già, perché all’idea di cacciare i russi dall’Ucraina, tema propagandistico agitato finora, non crede più nessuno, spiega il NYT. Non ci credono gli americani, che lo ammettono in privato, né ci crede Zelensky, che però, dopo aver proclamato ai quattro venti che è esattamente questo l’obiettivo dell’attacco, non può tornare indietro.

Infatti, annota il NYT, se si dovesse avere anche una “minima percezione che stia facendo marcia indietro rispetto alle grandi ambizioni [espresse in passato ndr], ciò potrebbe minare il suo sostegno in un momento così critico”.

Così, gli obiettivi degli attacchi ucraini restano sul vago: si sa solo che al fronte il mattatoio a getto continuo prosegue, con sortite diuturne che hanno esiti minimi e precari, esposti cioè alla riconquista dell’avversario, a costi altissimi, di vite umane e armamenti.

Né l’Ucraina ha ancora scatenato tutta la sua potenza, nella paura che la reazione russa sia tanto efficace da bloccarne la forza d’urto, così da trasformare la controffensiva in una secca vittoria dell’avversario.

Finora si era fantasticato sulla possibilità che gli ucraini riuscissero a riportare sotto il loro controllo la striscia di terra che collega la Crimea alla Russia, ma a quanto pare tale possibilità appare incerta.

Così, a stare ai report di alcuni analisti che reputiamo affidabili, un esito di successo per l’offensiva di Kiev potrebbe essere la riconquista di parte di tale striscia.

La Crimea resterebbe così collegata alla Russia da un lembo di terra esposto al fuoco nemico, che da quella posizione potrebbe prendere di mira con maggior efficacia la stessa Crimea, ponendo ulteriori criticità alle forze russe, le quali fanno molto affidamento, almeno al momento, sul supporto logistico e militare che arriva dalla penisola.

Diversivi

Questo, ad oggi, sembra essere l’obiettivo minimale della controffensiva, che però potrebbe mutare a seconda della resistenza dei russi. Infatti, Kiev è costretta ad ottenere un qualche successo significativo da spacciare come grande vittoria. E se non riesce a tagliare o a porre criticità al ponte di terra tra Russia e Crimea dovrà concentrarsi altrove.

Un successo più simbolico che altro – ma eccellente per la propaganda – potrebbe risultare la riconquista della centrale nucleare di Zaporozhye, ma resta aperta anche la possibilità di ottenere vittorie in altre zone del fronte,  che attualmente appaiono di interesse secondario.

Cosa quest’ultima che potrebbe essere favorita dalla strategia russa che, al contrario di Kiev, tende a risparmiare uomini e mezzi, procedendo, se necessario, a ritirate strategiche (d’altronde è così che Mosca ha sconfitto Napoleone e Hitler).

In assenza di successi significativi, o in caso di ritardi eccessivi nell’ottenerli, cosa che inizierebbe a suscitare domande, Kiev cercherebbe diversivi da utilizzare allo scopo.

Due possibili diversivi possono facilmente essere individuati: un attacco significativo in territorio russo, qualcosa di più delle recenti azioni di sabotaggio; in alternativa un “incidente” alla centrale nucleare di Zaporozhye, da attribuire ai russi così da suscitare l’indignazione globale (in realtà del solo Occidente, che si ascrive il ruolo di coscienza globale).

Così come avvenuto per la diga di Kakhovka, anche la centrale di Zaporozhye in passato è stata più volte colpita dalle forze ucraine, con attacchi accreditati ai russi (che in tal modo avrebbero sparato contro le proprie forze, che la controllano).

Sarebbe un diversivo dagli esiti disastrosi, ma coprirebbe in maniera eccellente la mancanza di notizie sui successi ucraini. Si spera non si arrivi a tanto, perché sarebbe toccata la soglia nucleare, con gli imprevisti del caso.

Attendere gli F-16? 

Infine, resta incerto l’arrivo sul campo di battaglia degli F-16: se si rincorrono le promesse per farli arrivare in Ucraina nel più breve tempo possibile, due mesi o giù di lì, non è ancora chiaro se gli ucraini ne attenderanno l’arrivo per lanciare l’attacco in grande stile, cosa che ad oggi sembra improbabile.

Anche perché l’ennesima arma magica non ha la capacità di stravolgere gli equilibri in campo (da cui la non necessità di attendere). Potrà al massimo aiutare, sempre che si risolva il problema degli aeroporti dai quali dovrebbero partire e far ritorno i velivoli, dal momento che ad oggi le possibili basi risultano esposte al fuoco russo (gli F-16, cioè, potrebbero essere distrutti già a terra).

Da notare che è di due giorni fa la notizia che gli ucraini hanno selezionato i piloti che dovrebbero iniziare ad addestrarsi sugli F-16. Resta che è impossibile formare piloti in due mesi, dal momento che, come ha detto il premier britannico Rishi Sunak “ci vogliono anni” per addestrare un pilota, né si vede come la Nato possa mettere velivoli che valgono 100 milioni di dollari – e altrettanti in costi aggiuntivi (manutenzione etc). – nelle mani di piloti inesperti. Così alla guida ci saranno piloti Nato sotto mentite spoglie.

Ma l’escalation degli F-16 è ormai cosa fatta e prima o poi impatterà sul conflitto. Resta da vedere quale sarà l’ulteriore escalation, dinamica ormai propria di questa guerra, e se darà vita a una guerra NATO – Russia.

L’esercitazione Air Defender 23′, che vedrà la partecipazione di 10mila uomini e donne, oltre che di 250 velivoli da combattimento provenienti da 25 paesi, che si tiene in Germania a partire da domani (“la più grande esercitazione della storia”), non lascia presagire nulla di buono.

È “un messaggio a Putin”, recita stolidamente il titolo di Europa Today, riecheggiando uno slogan altrettanto stolido che ha accompagnato questa guerra.

In realtà, è un messaggio al mondo, volto a segnalare che certi ambiti, pur di non perdere (e anche una tregua o una trattativa sarebbero da essi percepite come una sconfitta), sono disposti ad aprire il vaso di Pandora.