3 Maggio 2024

Ocheretino: crolla il fronte ucraino

Le difficoltà ucraine e l'avanzata russa secondo Strana. Il fattore follia e le conseguenze del tetto al "prezzo del petrolio russo"
Ocheretino: crolla il fronte ucraino
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“La crisi della difesa ucraina nella zona di Ocheretino dura ormai da più di una settimana. Questo insediamento, situato a un’altezza imponente a nord di Avdeevka, è stato completamente catturato dall’esercito russo […]. La svolta è stata così rapida e profonda che le forze armate ucraine non riescono ancora a stabilizzare la situazione, mentre i russi continuano ad avanzare”. Così Strana commenta l’ultima svolta del conflitto ucraino.

Dopo Ocheretino, i russi hanno campo aperto

“Il problema principale per le forze armate ucraine dopo questa svolta – prosegue il sito – è che porta le truppe russe dietro le linee delle fortificazioni che le truppe ucraine hanno iniziato a costruire dopo la perdita di Avdiivka. Nelle retrovie, dove non ci sono linee di fronte continue di trincee o campi minati”.

“Così i russi, con riserve sufficienti e adeguato supporto di fuoco, possono avanzare abbastanza rapidamente (secondo gli standard dell’attuale guerra di trincea), distruggendo la logistica delle forze armate ucraine e minacciando di accerchiare le unità ucraine in una zona ingente. del fronte che si allunga nella regione di Donetsk”.

Strana prosegue spiegando che i russi possono adesso procedere su tre direttrici, minacciando di accerchiare le unità schierate nell’attuale prima linea in tre direzioni. E si interroga su quale delle tre direttrici sarà scelta per procedere o se, invece, i russi decideranno di saggiare tutte e tre le direttrici per trovare punti deboli.

Quanto gravi saranno i rovesci per le truppe ucraine, continua Strana, dipenderà dalle capacità dei due contendenti: se cioè i russi avranno riserve a sufficienza per dilagare (tenendo conto che devono anche stare attenti, durante l’avanzata, a non scoprirsi sui fianchi, per evitare a loro volta di essere accerchiati); e se l’Ucraina ha riserve sufficienti per frenare e arrestare l’avanzata. Si tratta di fattori ad oggi ancora sconosciuti, che saranno chiari solo con il dipanarsi degli eventi.

Questa la conclusione di Strana: “Se le Forze Armate ucraine avessero un problema con le riserve, allora sorgerà la domanda sulla necessità di ripetere la manovra che le truppe russe furono costrette a fare per lo stesso motivo – cioè la mancanza di riserve, dopo lo sfondamento delle Forze armate ucraine nella regione di Kharkov nel settembre 2022 – ovvero organizzare una ritirata su larga scala verso nuove linee di difesa per evitare di essere circondati. E anche per guadagnare tempo necessario a intensificare la mobilitazione all’interno del Paese e ricevere armi dai partner”.

“La domanda è dove sarà fissata questa nuova linea difensiva. E quanto tempo ci vorrà per trasformarla in una linea continua di ‘fortificazioni’ protette da campi minati”. Lucido, al solito, lo scenario delineato dal sito ucraino – bandito in Russia e Ucraina – ma non tiene conto di un fattore che in questa guerra è stato determinante, la follia.

Il fattore follia

Anzitutto la follia dell’Occidente di mandare all’aria i negoziati di pace a fine marzo-aprile del 2022, iniziativa presa in base a una irrealistica, delirante, convinzione che l’Ucraina potesse davvero vincere la guerra grazie alle sanzioni che avrebbero fatto collassare l’economia russa e agli armamenti super tecnologici della Nato, che avrebbero avuto la meglio sull’obsoleta macchina da guerra di Mosca.

Convinzione che Zelensky ha fatto propria e rafforzata dalla grancassa della propaganda, che ha dipinto come una gloriosa vittoria dell’esercito ucraino quel che invece era un semplice ridispiegamento dell’esercito russo nella regione di Kharkov, deciso sia in base a esigenze militari, per attestarsi cioè su una linea difensiva solida, sia come gesto di buona volontà per favorire il processo di pace.

Follia coltivata anche durante il lungo inverno successivo, nel quale, invece di prendere atto dell’impossibilità di vincere la guerra, si sono illusi i cittadini d’Occidente con il mantra che a primavera poteva ripetersi il successo, fittizio, della prima controffensiva.

Follia arrivata al parossismo dopo il fallimento subitaneo della controffensiva primaverile, peraltro ampiamente prevista dal Pentagono, quando, invece di prendere atto che la guerra era finita, si è preteso che Kiev proseguisse nel suicidio assistito di un’intera nazione, a maggior gloria dei suoi padrini anglosassoni (la Gran Bretagna ha un ruolo fondamentale in questo gioco al massacro – degli ucraini).

Così si è puntato tutto sulla nuova tranche di aiuti dagli Stati Uniti, arrivati dopo mesi di stallo, che non cambieranno le sorti del conflitto, ma prolungheranno soltanto l’agonia dell’Ucraina.

Follia che si riecheggia un po’ in tutto il mondo, come denotano le recenti dichiarazioni del ministro degli Esteri del Regno Unito David Cameron, che ha detto a Kiev di utilizzare le armi inglesi per colpire il territorio russo, cosa che gli Usa non hanno mai autorizzato pubblicamente (anche se…), e quelle di Macron, che si è detto pronto a mandare truppe al fronte se i russi sfondano (cioè quel che sta avvenendo).

Ukraine war briefing: Ukrainians ‘have the right to strike inside Russia’, says David Cameron

Il tetto al petrolio russo

In attesa di sviluppi, una nuova doccia fredda per la lungimirante leadership d’Occidente, che tra le misure prese contro Mosca, aveva puntato molto sull’imposizione di un tetto massimo al prezzo del petrolio russo. Iniziativa che dicevano avrebbe falcidiato l’economia del nemico.

Del 30 aprile il lancio della Reuters che annunciava come il Club P&I, che rappresenta 12 assicuratori che operano nel campo della responsabilità civile marittima e che coprono l’87% del tonnellaggio oceanico mondiale, abbia dichiarato pubblicamente che l’iniziativa non funziona, essedo fiorito, in parallelo, un commercio clandestino dell’oro nero russo.

“Il tetto al prezzo del petrolio appare sempre più inapplicabile man mano che sempre più navi e servizi associati si spostano in questo commercio parallelo – si legge in una nota del Club P&I – Stimiamo che circa 800 petroliere abbiano già lasciato il Club del Gruppo Internazionale come risultato diretto dell’introduzione del tetto del prezzo del petrolio”. Altro buco nell’acqua. Ai lungimiranti in questione non gliene va bene una.

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