Orbán da Putin e il suo grido di allarme su Newsweek
La visita di Viktor Orbán in Russia ha suscitato un vespaio nell’establishment dell’Unione europea. Tanti i politici che si sono precipitati a condannarla e a specificare che il premier ungherese non rappresentava la Ue di cui al momento è presidente. Uno starnazzare isterico, a comando, che segnala la loro subordinazione ai centri di potere che stanno alimentando questa guerra infinita.
Primo contatto
La missione di Orbán non ha avuto esiti, né immediati né di prospettiva, né poteva averli, troppe le distanze tra i duellanti, troppe le ingerenze indebite e, soprattutto, le elezioni americane sono ancora troppo lontane e incerte e da quelle dipende tutto. Come ha detto il primo ministro ungherese, serviva stabilire un contatto in vista dell’apertura di un negoziato, e così è stato, al di là poi di quel che si sono detti in privato con Putin.
Detto questo, lo starnazzare dell’establishment non rappresenta in toto i cittadini della Ue, né tanti dei suoi politici che hanno conservato un silenzio assenso, molti dei quali si saranno rallegrati di questo atto coraggioso che potrebbe aprire porte impensabili, perché ci vuole coraggio a sfidare certi centri di potere.
Da notare che all’isterismo europeo non ha corrisposto alcun commento da oltreatlantico, oltre quello critico, quanto obbligato, della sola portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre. Nessun esponente dell’amministrazione Biden si è espresso e i pochi articoli dedicati al tema del Washington Post e del New York Times, i media principali dell’Impero, si sono limitati a riportare le critiche dei leader europei.
Nessun cronista di alto rango, soliti a esprimersi su tutti i temi sensibili, ha intinto la penna nell’inchiostro per bollare il viaggio, nessun politico o funzionario anonimo americano ha elargito dichiarazioni all’opinione pubblica (questo ad oggi, possibile che accada dopo, ma la reazione tardiva è meno significativa).
Un affare europeo, distante, poco interessante al momento. Anche perché i padroni sanno benissimo che i loro servi, utili al momento, potrebbero diventare inutili se il vento girasse a novembre, cosa che avverrebbe certamente se vince Trump, ma possibile anche con un altro presidente democratico che riveda le priorità dell’Impero. Così che lo starnazzare attuale è sospeso al vento d’oltreoceano e potrebbe essere da questo spazzato via in un istante.
Per restare a Orbán e all’America, appare interessante il fatto che Newsweek, dopo la visita a Mosca del primo ministro ungherese, abbia pubblicato uno suo scritto sulla Nato, che tra qualche giorno festeggerà i 75 anni dalla sua nascita a Washington, cioè dalla stanza dei bottoni del principale organo di trasmissione del potere imperiale.
Orbán su Newsweek
Ancora più interessanti i contenuti dello scritto di Orbán: “La NATO si sta avvicinando a un momento spartiacque. Vale la pena ricordare che l’alleanza militare di maggior successo nella storia del mondo è iniziata come un progetto di pace e il suo successo futuro dipende dalla sua capacità di mantenere la pace. Ma oggi, invece della pace, l’agenda è la ricerca della guerra; invece della difesa è l’offesa. Tutto ciò va contro i valori fondanti della NATO“.
“[…] Oggi sempre più voci all’interno della NATO stanno sostenendo la necessità, o addirittura l’inevitabilità, di uno scontro militare con gli altri centri di potere geopolitico del mondo. Questa percezione di uno scontro inevitabile funziona come una profezia che si autoavvera. Più i leader della NATO credono che il conflitto sia inevitabile, maggiore sarà il loro ruolo nel precipitarlo“.
“Oggi la natura autoavverante di questa profezia di confronto sta diventando sempre più evidente, con la notizia che sono iniziati i preparativi per una possibile operazione NATO in Ucraina e persino con rapporti di alto livello secondo i quali truppe dei paesi membri della NATO sono già vicine al fronte ucraino”.
“[…] Quanti sostengono il confronto basano in genere le loro argomentazioni sulla superiorità militare della NATO e del mondo occidentale. Il grande storico Arnold Toynbee sosteneva che ‘le civiltà muoiono per suicidio, non per omicidio’. Essendo la più forte alleanza militare che il mondo abbia mai conosciuto [concetto forse rivedibile ndr], non è la sconfitta per mano di un nemico esterno che dovremmo temere. Un nemico esterno, se ha un minimo di buonsenso, non oserà lanciare un attacco contro un paese membro della NATO”.
“Ma dovremmo temere molto il nostro rifiuto dei valori che hanno dato vita alla nostra alleanza. Lo scopo per cui è stata creata la NATO era di garantire la pace nell’interesse di uno sviluppo economico, politico e culturale stabile. La NATO realizza il suo scopo quando vince la pace, non la guerra. Se sceglie il conflitto invece della cooperazione e la guerra invece della pace, si suiciderà”.
In realtà, da tempo la Nato ha mutato natura. Da quando il trionfo sul nemico sovietico l’ha portata ad assumere un ruolo sempre più politico e aggressivo. Così l’allargamento nell’Est Europa, che ha assunto connotati simili alla conquista del West in America, fino all’intervento nella ex Jugoslavia, a quello in Libia e altro e più segreto.
La Nato ha preso tale abbrivio poco a poco e, col passar degli anni, ormai è diventata questa la sua rotta. Difficile ora cambiarla, data la forza dell’inerzia, moltiplicata dall’ascesa al potere di tanta leadership europea il cui unico valore sta nella cieca obbedienza (sono scelti per questo, vedi Ursula von der Leyen e Kaja Kallas, designata quest’ultima come ministro degli Esteri della Ue per la sua cieca russofobia).
Resta lo squillo di tromba di Orbán, che segnala come ci sia ancora in Occidente un residuo di ragionevolezza, qualche ambito politico che non ha ancora abbracciato né il destino distruttivo di Sansone né la follia del suicidio collettivo di Masada.