Il partito della guerra e l'assassinio del generale russo
L’assassinio del comandante russo che sovraintendeva la difesa dalle armi chimiche, Igor Kirillov, avvenuto nel cuore di Mosca, è di fatto la risposta del partito della guerra alle insistite dichiarazioni di Trump sulla necessità di aprire negoziati sulla guerra ucraina.
I servizi segreti ucraini si sono affrettati a rivendicare l’omicidio, evitando così che i russi potessero addebitarla ad altri. Resta che è davvero difficile credere che “l’operazione in stile Mossad” (Dagospia) sia opera di Kiev, ma tant’è (gli americani hanno dichiarato, al solito, di non saperne nulla).
“Non si può dire che questo leader militare russo abbia avuto un’influenza significativa sulla guerra in Ucraina – scrive, infatti, Strana – E la sua eliminazione, molto probabilmente, ha scopi diversi dalla ‘vendetta’”.
Ancora da Strana: “Si tratta di una provocazione delle autorità ucraine e del ‘partito della guerra’ occidentale con l’obiettivo di spingere la Russia a intensificare il conflitto per rendere impossibile l’avvio del processo di pace sotto Trump e addossarne la colpa a Mosca, dal momento che Kiev non può contraddire apertamente Trump”.
Peraltro, oltre a spingere Mosca a reagire, l’operazione, come accenna sempre Strana, serve a creare un clima di sfiducia in Russia, a spingerla alla conclusione che con questi inaffidabili terroristi non si può trattare. Mosca ha già annunciato che reagirà, ma è plausibile che cercherà di evitare di cadere nella trappola dell’escalation.
Omicidi mirati e Terrore
Peraltro, l’omicidio di Kirillov non è un fatto isolato, ma si inserisce in un crescendo di operazioni analoghe: “La settimana scorsa è stato ucciso a colpi di arma da fuoco nella regione di Mosca il progettista di missili da crociera Shatsky e hanno anche tentato di far saltare in aria il progettista degli Iskander, Gennady Devyatov. Sempre di recente, a Donetsk è stata fatta saltare in aria l’auto del capo della colonia Yelenovskaya, Evsyukov, anch’egli morto. Cioè, il numero di tentativi di omicidio è aumentato notevolmente” negli ultimi giorni (Strana).
Una campagna di assassini, azioni che non appartenevano alle dinamiche della guerra prima che Israele sdoganasse la prassi degli omicidi mirati, una prassi che ha tutte le caratteristiche per essere inquadrata nella categoria terrorismo, come da accuse dei russi.
In effetti, il confine tra omicidi mirati e Terrore è alquanto labile e l’interpretazione di tali operazioni è alla mercé della propaganda. Più che probabile, infatti, che se i russi si producessero in operazioni analoghe la stampa occidentale parlerebbe di terrorismo.
Inoltre, se si tiene presente che la Nato è parte integrante del conflitto, si può immaginare che effetto farebbe una reazione speculare da parte dei russi contro un ingegnere o un funzionario di alto livello americano o britannico…
Al netto di tali considerazioni, si può notare che nel curriculum del defunto Kirillov, tra le tante peculiarità, c’è quella di aver denunciato l’esistenza dei tanti bio laboratori americani in terra ucraina, confermata, dopo la sua denuncia, anche dal Pentagono, anche se ne ha minimizzato l’importanza derubricandoli a una sorta di centri di assistenza sanitaria (successivamente, la bellicosa Nuland si disse “preoccupata” che finissero in mano russa, quindi tanto innocui non erano/sono).
Al di là della querelle sui biolab, pure importante perché la Sanità dell’amministrazione Trump dovrebbe essere affidata a Robert Kennedy jr che da tempo denuncia l’opacità di certe ricerche, resta che l’attentato di alto livello serve a complicare il cammino verso i negoziati.
Complicazioni arrivano anche da Zelensky, che alle aperture ai negoziati, costrette dalle posizioni di Trump più che dalla convinzione personale, fa seguire prontamente dei niet, quando la situazione gli consente di contraddire il futuro presidente degli Stati Uniti.
Com’è accaduto anche in occasione della morte di Kirillov, a seguito della quale ha reso pubblica la sua posizione riguardo le pressioni di Trump, che è quella di non affrettarsi a trovare un accordo con i russi (Le Parisien).
Lo scontro che dilania l’Impero
Detto questo, Zelensky conta nulla: a decidere le sorti della conflitto sarà lo scontro tra “il partito della guerra”, per cui la contesa ucraina può produrre un ritorno all’egemonia globale Usa, e una parte dell’establishment occidentale che la ritiene non più necessaria, anzi dannosa.
Quest’ultima posizione vede la convergenza di varie prospettive, alcune delle quali pure viziate da una bellicosità di fondo. Forte, ad esempio, nell’amministrazione Trump, la spinta dei falchi anti-iraniani, che credono sia ora necessario concentrare le forze contro Teheran, nell’idea che è incenerendo l’acerrimo nemico e guadagnando il cruciale Medioriente che si può tornare all’unilateralismo Usa. Una prospettiva che si fonda sull’ossessione Israele, che vede il trionfo dell’Impero collegato in maniera irrevocabile a quello dell’alleato mediorientale.
Mentre forte è anche la spinta per avviare un duello alzo zero con la Cina, confronto sul quale occorre, secondo tanta parte dell’establishment, focalizzare tutta la potenza di fuoco, economia e militare, dell’America, ponendo fine alla vampirizzazione delle risorse da parte del conflitto ucraino. In tal caso, la variabile mediorientale appare secondaria.
C’è poi l’ala più realista dell’Impero, quella che si rifà alla dottrina Kissinger – che si è speso per porre dei limiti al confronto con Russia e Cina – la quale ritiene necessario passare dallo scontro tra potenze alla competizione tra di esse, che cioè si escluda dall’orizzonte un conflitto armato tra potenze nucleari. Una prospettiva che può concretizzarsi con una nuova Yalta, che stabilisca finalmente delle linee rosse tra i contendenti globali.
Per quanto riguarda la derelitta Europa, che dell’Impero è colonia, anche parte del suo establishment, quello non consegnato alle fumisterie neocon, attende – né, a quanto pare, può far altro – una svolta verso la pacificazione, per porre fine alla discesa verso la de-industrializzazione nella quale l’ha precipitata la folle partecipazione al conflitto ucraino.
Tale processo di impoverimento progressivo ha nella Germania la vittima predestinata, una sventura della quale Berlino ha finalmente preso coscienza e che spera di invertire o quantomeno frenare con una nuova dirigenza, da cui la corsa al voto. Tira aria di Weimar da quelle parti, quando la gente andava a fare la spesa con le cariole piene di soldi senza più valore. Se cadrà nell’abisso, non lo farà da sola.