Un nuovo presidente per la Repubblica democratica del Congo
Tempo di lettura: 2 minutiFelix Tshisekedi è stato proclamato presidente della Repubblica democratica del Congo. Una nomina tempestosa, dato che il risultato elettorale del 30 dicembre era stato contestato a più livelli.
Elezioni contestate
Dal suo diretto concorrente Martin Fayulu, ma anche da certa parte della Comunità internazionale, come anche dalla Chiesa cattolica congolese, che aveva dispiegato 40mila osservatori elettorali.
Tanto che la sua nomina ufficiale è stata a lungo incerta. Ad accettare subito l’esito del voto era stata la Repubblica sudafricana e altri, invero pochi, Paesi africani, tra cui l’Egitto, poi Cina e Russia.
Solo dopo la sua nomina ufficiale, proclamata dalla Corte Costituzionale, Unione europea e Stati Uniti hanno “preso atto” dell’investitura del nuovo presidente: evidente il disappunto.
A contestare il voto, anche l’Unione africana. Ma un’annunciata visita di una sua delegazione guidata dall’interessato presidente dell’Ua, il presidente del Ruanda Paul Kagame (tante le sue indebite ingerenze sulla RDC), è stata annullata dopo la decisione della Corte Costituzionale.
Tshisekedi è figlio del defunto Etienne Tshisekedi, “considerato uno degli esponenti più in vista della vera opposizione storica della politica congolese”.
L’accusa di una frode elettorale resta forte, come forte resta il sospetto che ci sia stato un accordo tra Tshisekedi e l’ex presidente Joseph Kabila. Fayulu pare non si voglia rassegnare e chiama alla protesta popolare, ma è da vedere se ha la forza per sostenerla.
La transizione pacifica, la prima del Congo
Ma Rete pace per il Congo, associazione di missionari e laici da sempre vicina alle sofferenze del popolo congolese, in una nota rileva che, nonostante tutto, “si tratta del primo trasferimento di potere legale e pacifico nella storia del Paese”.
Infatti Kabila si è fatto da parte con una stretta di mano al vincitore, cosa non usuale in un continente in cui le cariche sono destinate a durare a vita.
Ci aveva provato lo stesso Kabila, alla fine del suo mandato (2016), ma poi aveva ceduto alle pressioni popolari e indetto le elezioni.
Riportiamo una dichiarazione Isidore Ndaywel, membro del Comitato Laico di Coordinazione, evidenziata sul bollettino di Rete pace per il Congo: «Al di là dell’opacità che sta alla base della controversia sull’assenza della verità delle urne, il 24 gennaio 2019 i congolesi hanno almeno vissuto l’esperienza straordinaria e senza precedenti del trasferimento di potere tra un Presidente uscente e un nuovo Presidente”.
Troppo ricchi
La Chiesa congolese, che ha grande autorevolezza nel Paese, pur avendo contestato il voto, ha comunque deciso di esser presente alla cerimonia di investitura, anche se con un basso profilo, “delegando un segretario generale a rappresentarla”, come si legge nella sua pagina ufficiale.
Decisione che ha a che vedere col realismo e col tentativo di evitare nuove lacerazioni al tessuto sociale, che nella RCD costano vite (900 i morti nell’ultimo mese per scontri a sfondo etnico, che forse hanno altri e più inconfessabili motivi).
Terra maledetta per le troppe ricchezze del sottosuolo, predate da multinazionali e trafficanti vari (i nostri smartphone grondano sangue), la Repubblica democratica del Congo, nonostante tutto, vede aprirsi una stagione nuova. Si spera con qualche sollievo per la popolazione.