Medio oriente. La propaganda israeliana e l'opzione apocalisse
Il presidente israeliano Isaac Herzog ha mostrato sdegnato alla BBC una copia del Mein Kampf tradotta in arabo, che sarebbe stata rinvenuta nella stanza dei bambini di una casa usata da un miliziano di Hamas.
Accreditare pulsioni naziste ai nemici è un must alquanto abusato nelle guerre d’Occidente, da Saddam a Gheddafi, da Assad a Putin la disumanizzazione hitleriana è toccata un po’ a tutti. Nel caso specifico, la trovata ricorda molto la fialetta d’antrace fatta sventolare da Colin Powell all’Onu per legittimare l’invasione dell’Iraq.
Se azzardiamo un accenno tanto forte è anche perché Israele sta tentando di far presiedere a Tony Blair lo sforzo umanitario volto ad alleviare le pene dei derelitti di Gaza (Timesofisrael). Blair è noto alle cronache, appunto, per aver inventato le armi di distruzione di massa di Saddam… nel caso di Gaza sarebbe come mettere una volpe a guardia di un pollaio.
Non accusiamo Herzog nello specifico. Anche se reduce da un’intemerata infelice, quando ha dichiarato che a Gaza non esistevano “civili” (frase che, peraltro, rischia di auto-avverarsi), non pensiamo che abbia volutamente voluto ingannare l’opinione pubblica.
Probabile che la storia del Mein Kampf in arabo, con tutti gli annessi del caso – volti velatamente anche a legittimare il bombardamento di luoghi che ospitano i bambini – gli sia stata riferita come veritiera dai sottoposti. D’altronde, la propaganda sta lavorando a ritmi serrati in questi giorni.
La guerra più ampia o dell’opzione apocalisse
Al di là del particolare, si registra una certa stanchezza negli Stati Uniti, dove gli inviti alla moderazione all’indirizzo di Israele appaiono sempre meno mordenti. Un po’ sulla falsariga degli inviti rivolti a Kiev perché evitasse di colpire obiettivi in territorio russo, puntualmente ignorati senza conseguenza alcuna per quanto riguarda il sostegno dell’alleato d’oltreoceano.
Da cui l’alleato, si chiami Ucraina o Israele, si sente libero di usare la forza a suo piacimento, dal momento che al massimo otterrà un amichevole rabuffo. Si può obiettare che vi sono differenze sostanziali tra il sostegno all’Ucraina rispetto a quello diretto verso Israele, essendo il primo dipendente in tutto dagli armamenti occidentali, mentre il secondo di armi ne ha in abbondanza.
La differenza, in realtà, è solo apparente, potendo Tel Aviv dispiegare tutta la sua potenza di fuoco grazie al deterrente messo in campo dagli americani nella regione. Altrimenti sarebbe costretta a frenarsi.
Su tale deterrenza, peraltro, si sta giocando un gioco ad alto rischio. Di ieri l’avvertimento del Capo del Pentagono Lloy Austin al suo omologo israeliano Gallant per evitare l’allargamento del fronte a Hezbollah, che provocherebbe un conflitto su ampia scala nella regione.
L’avvertimento è stato riferito da Axios, che aggiunge: “Alcuni esponenti dell’amministrazione Biden temono che Israele stia cercando di provocare Hezbollah per creare un pretesto per una guerra più ampia in Libano, che potrebbe coinvolgere ulteriormente gli Stati Uniti e altri paesi nel conflitto, secondo fonti informate sulla questione”.
Axios aggiunge il diniego di tale intenzione della controparte israeliana. Resta, però, che il fronte libanese si sta surriscaldando sempre più e che la possibilità di una guerra su ampia scala si fa sempre più concreta.
Tale orizzonte, peraltro, è abbracciato da certe derive messianiche proprie della destra israeliana (tale l’opzione apocalisse di Gog e Magog), ma anche da una parte della leadership israeliana, che vede tale sviluppo come l’unico modo per uscire dal tunnel nel quale ha trascinato il Paese.
I governi e le pressioni della società civile
Infilandosi nei bui tunnel di Hamas, infatti, la leadership israeliana ha perso in lucidità e sta scoprendo con certa frustrazione che il bagno di sangue che sta perpetrando non può essere coperto, come altre volte, da una propaganda aggressiva e martellante (la famosa Hasbara).
I governi occidentali non possono reggere alle pressioni della società civile, sempre più sgomenta dalle immagini che arrivano da Gaza, a meno di ricorrere a giri di vite autoritari sempre più stringenti. Una deriva che l’Occidente liberal democratico non può permettersi in modo così aperto.
Una guerra su larga scala permetterebbe sia di mescolare il sangue di Gaza in un mare di sangue dove tutto andrebbe a dilavarsi, sia di legittimare il giro di vite esplicito in Occidente, che non può darsi in un contesto pacifico (almeno in forma dichiarata, dato che certe restrizioni sono ormai parte della normalità dei governi d’Occidente).
Non è solo Israele a essere diviso sulle due opzioni, ma l’intero Occidente, i cui cittadini rischiano di essere trascinati in una guerra sulla quale solo una parte della sua leadership sta frenando.
Per inciso, e per tornare al parallelo Israele-Ucraina, anche la leadership di Kiev ha tentato in tutti i modi di trascinare l’Occidente in una guerra più ampia contro la Russia, trovando sponde nella politica occidentale, in particolare nell’ambito neocon, lo stesso che oggi sostiene in maniera aggressiva Israele.
Piccoli esempi ne sono le dichiarazioni del solito Lindsey Graham, che ha esortato Israele a “spianare Gaza“, e quelle della candidata alla Casa Bianca Nikky Haley, diletta da Netanyahu, che Bob Bishop, in un articolo pubblicato sul Ron Paul Institute paragona, non senza ragione, al Dottor Stranamore.