Putin e Modi si parlano. Il rebus asiatico e la variante indiana
Tempo di lettura: 4 minutiPutin e Modi ieri hanno tenuto una conversazione telefonica. Era da tempo che i due presidenti non dialogavano, da qui l’importanza della cosa. I presidenti, riferiscono i media indiani e il sito del Cremlino, hanno parlato della crisi causata dalla pandemia, né poteva essere diversamente dato che la strage che sta provocando in India domina ormai i media internazionali.
È indicativo che Modi abbia voluto interloquire col presidente russo proprio ieri, cioè nel giorno stesso in cui gli americani decidevano di inviare dosi del loro prezioso vaccino in India.
Modi ha cioè voluto rassicurare il presidente russo che i doni americani non cambieranno l’equazione del gioco, ché l’India conserverà la sua posizione non subordinata a Washington e continuerà ad avere rapporti con la Russia.
Questo il senso anche di un articolo del South China Morning Post, che spiega come l’Inda abbia voluto rassicurare Mosca anche rispetto al suo impegno nel Quad, la cosiddetta Nato del Pacifico, alleanza creata dagli Stati Uniti in funzione anti-cinese.
L’india, spiega il giornale di Hong Kong, vede la sua adesione a tale organismo solo in funzione anti-Pechino. Infatti, interpellato dal Scmp, Kanwal Sibal, ex ministro degli esteri indiano, ha spiegato che la Russia non deve preoccuparsi di tale alleanza e che “l’obiettivo del Quad è contrastare la minaccia della Cina. Non è la Russia la preoccupazione” che unisce i membri dell’organismo. “Se l’obiettivo fosse anche la Russia, l’India non si sarebbe unita”.
A indicare lo stato dei legami tra i due Paesi, il prossimo incontro a quattro tra i rispettivi ministri degli Esteri e della Difesa. Così ne scrive il Scmp: “L’India di recente ha tenuto altri incontri con la formula due più due con tutti gli altri membri del Quad. L’incontro due più due con la Russia sarà il primo con un membro non Quad”.
il giornale rileva la strana triangolazione Russia-Cina-India, con la Russia che ha buoni rapporti con ambedue i Paesi, nonostante Pechino e New Delhi siano in aperto contrasto. La Cina potrebbe essere irritata da questo rapporto, spiega il quotidiano, dato che Mosca, peraltro, è il primo fornitore di armi dell’India. Eppure non è così.
Un mistero asiatico, che forse può essere spiegato da un dato alquanto evidente: seppure abbia rapporti conflittuali con New Delhi, Pechino sa perfettamente che tale rivalità può causargli solo problemi, come avvenuto di recente con gli scontri sul confine tibetano, che per poco non hanno causato una guerra aperta tra i due giganti asiatici.
Alla Cina conviene che Mosca possa esercitare un ruolo di mediazione, evidentemente accolto con favore anche dall’India. Una mediazione che ha dato frutti, avendo portato la riconciliazione tra i due giganti asiatici, che hanno deciso di riporre le pistole nella fondina (da allora i guai di Modi hanno avuto un’impennata, prima le rivolte degli agricoltori, ora il dilagare della pandemia, con i media internazionali che gli danno addosso… ma questa è un’altra storia, forse non solo del tutto indiana).
La variante indiana è complicata da gestire per gli Usa. E indigesta. Vicenda istruttiva di come l’idea degli Stati Uniti di portare in Asia il modello Nato si scontri con una realtà più complessa di quella europea, dove l’alleanza è stata naturale, nata sull’onda della comune lotta al nazismo.
Qui è tutto diverso, basti pensare che il caposaldo del Quad, il Giappone, è stato alleato dei nazisti… Per tacere del legittimo revanscismo asiatico verso le potenze coloniali, che nel continente hanno fatto disastri (ad esempio in India, sotto il dominio britannico, furono distrutte gran parte delle colture locali per piantarvi l’oppio da esportare in Cina e altrove).
Così il Giappone, nonostante il Quad, ha appena aderito al Partenariato economico globale regionale (Rcpe), area di libero scambio asiatica cui partecipa anche la Cina, che anzi ne è promotrice, e in prospettiva prevede l’adesione di 15 nazioni del continente, “coprirà quasi un terzo dell’economia, del commercio e della popolazione mondiale ed entrerà in vigore all’inizio del 2022” (Scmp).
Mentre un altro Paese su cui puntava l’America per contrastare Pechino, il Vietnam, anch’esso guidato da un partito comunista (ironia di una proposta di alleanza che vorrebbe contrastare l’aborrito comunismo cinese), si è appena smarcato.
Nel raccontare la visita del ministro degli Esteri cinese in Vietnam, il Global Times sintetizza: “Il Vietnam dichiara che non seguirà gli altri [Paesi asiatici] nel contrastare la Cina; gli analisti osservano che ‘gli Stati Uniti non hanno alcuna possibilità di utilizzare la questione della sovranità per dividere la regione'”.
D’altronde gli orrori della guerra del Vietnam sono ancora negli occhi di tanti in questo Paese, che ancora sconta gli strascichi del conflitto, come ad esempio le terribili malformazioni con cui nascono i figli dell’Agente Orange, l’arma chimica usata su larga scala dall’esercito Usa (a proposito delle armi chimiche di Assad..). Su tale tragedia nascosta rimandiamo a un istruttivo articolo del New York Times, del quale basterebbe guardare solo le fotografie…
Le cose son complesse a Oriente. E il ritiro dell’America dall’Afghanistan, se da una parte darà sollievo al martoriato Paese dopo due decenni di occupazione, dall’altra è foriero di nuove incognite per tutti gli Stati che vi confinano, dall’Iran alla Cina, dal Pakistan alla Russia, dall’India ai vari Paesi ex sovietici. Questione complessa quella afghana, ci torneremo.