Quando l'economia crea la realtà
Tempo di lettura: 2 minutiNel mondo contemporaneo l’economia ha assunto un’importanza che non ha mai avuto nella storia. Maurizio Ferraris, sulla Repubblica del 12 gennaio, indica anche una data in cui questa novità si sarebbe palesata al mondo: 1992, quando la campagna elettorale americana vede contrapposto il vecchio George Bush contro il presidente Usa simbolo di questo cambiamento, Bill Clinton. Un cambiamento epocale: da allora, scrive Ferraris, «sembra che non si possa fare politica senza economia, e sopratutto l’economia è diventata ciò con cui la politica deve misurarsi come di fronte a una oggettività ineludibile. Perché il punto è proprio questo. L’economia non trae prestigio dalla propria efficacia terapeutica (come avviene, poniamo, per la medicina), ma dall’idea che è lei a stabilire il principio di realtà con cui si devono misurare i politici e i cittadini. Finito il mondo di Stranamore e degli scudi spaziali, della competizione a colpi di razzi e astronavi, finito il mondo del diritto internazionale come alternativa alla guerra, il luogo in cui si definiscono i valori, a partire ovviamente da quello pregiato della oggettività, della realtà e della verità è il mercato finanziario. Un mercato che, per inciso, è stato l’autentico veicolo della globalizzazione: un impero in cui letteralmente non tramonta mai il sole».
«Tuttavia siamo sicuri che l’economia sia il candidato più attendibile a incarnare il principio di realtà? Se c’è un ambito in cui vige il principio “non ci sono fatti, ma solo interpretazioni”, questo è proprio la sfera dell’economia», annota Ferraris, che scrive: «il filosofo John Searle non esita a dire che la recente crisi economica dimostri come il denaro sia frutto di una massiccia immaginazione. Come dire che se c’è un campo in cui i fatti sembrano di gran lunga superati dalle interpretazioni, questo non è, come un po’ futilmente sostenevano molti epistemologi del secolo scorso, la fisica, ma l’economia».