La reazione di Netanyahu incendia il medio oriente
Israele bombarda Beirut – 4 finora i morti, ma saliranno – per uccidere uno dei capi di Hezbollah e assassina il leader di Hamas Ismail Haniyeh in Iran, dove si trovava per la cerimonia di insediamento del nuovo presidente. Tale la risposta di Tel Aviv alla strage dei bambini drusi di Majdal Shams, nel Golan occupato (sulle perplessità circa le responsabilità di Hezbollah sull’eccidio, rimandiamo a note pregresse).
Risposta fuori registro quella di Israele, foriera di una possibile guerra regionale, che poi è l’evidente obiettivo di Netanyahu. L’uccisione di Haniyeh, peraltro, affossa le speranze di un accordo su Gaza, sia perché tale è lo scopo di assassinare il capo politico di Hamas nel corso dei negoziati, sia perché Heniyeh era il leader più pragmatico e moderato di Hamas e quello che più ha spinto per la trattativa (Sky news).
Peraltro, si è deciso non a caso di assassinarlo in Iran, cioè in una nazione sovrana che lo considerava un alleato, e poche ore dopo il suo incontro con l’ajatollah Khamenei: una sfida aperta. Infatti, Khamenei ha dichiarato che il suo Paese reagirà all’omicidio, anche se probabilmente si riferisce a una risposta limitata, almeno a stare a quanto dichiarato dal primo vicepresidente iraniano Mohammad Reza Aref, il quale ha affermato che Teheran non vuole un’escalation (Haaretz).
I drusi del Golan contro la rappresaglia
A commento di quanto avvenuto, riportiamo ciò che ha scritto ieri su Yedioth Aeronoth Shakib Ali, avvocato druso che vive in Israele e che si occupa di diritti umani, il quale ha descritto l’immenso strazio della sua gente per la morte dei dodici ragazzi di Majdal Shams, un dolore che ha accompagnato il commosso rito funebre successivo.
“Tuttavia – scriveva Ali – il silenzio del dolore si è trasformato in rabbia immensa all’arrivo dei ministri e dei membri della Knesset della coalizione di governo, che sono stati accolti con rabbia. Il ministro Bezalel Smotrich ha dovuto lasciare la scena, seguito dai ministri Idit Silman e Nir Barkat. I leader dell’opposizione, giunti a loro volta, sono stati accolti con rispetto e Yair Lapid ha tenuto un breve discorso, ma non durante la cerimonia”.
“Molti dei residenti del villaggio sono apparsi su quasi tutti i media. Alcuni hanno chiesto una risposta immediata e dolorosa, mentre altri hanno esortato alla moderazione, al punto di chiedere di evitare del tutto una rappresaglia. La posizione ufficiale degli sceicchi [drusi], partecipata dalle famiglie delle vittime, è stata di lutto, dolore e accettazione del destino, insieme alla condanna dell’atroce crimine che ha portato all’omicidio dei bambini e alla condanna di qualsiasi danno infitto ai civili, ovunque e da qualsiasi parte.
Posizione coniugata con un chiaro e deciso appello a porre fine a questa guerra maledetta che ha portato solo distruzione all’intera regione. La posizione ufficiale è stata quella di una ferma opposizione a qualsiasi sfruttamento del ‘sangue dei nostri figli’ come leva per qualsiasi fine, di qualsiasi fazione“.
“I drusi delle alture del Golan si rifiutano fermamente di vendicare la morte dei loro cari e si oppongono a qualsiasi risposta israeliana che potrebbe incendiare la regione e portare a una guerra su vasta scala con il Libano, una guerra che potrebbe causare centinaia di vittime [stima molto al ribasso ndr.] da entrambe le parti e devastare soprattutto il Libano, dove vivono pacificamente, come parte del complesso mosaico delle comunità libanesi, più di mezzo milione di drusi”.
“Qualsiasi risposta violenta che danneggi il Libano, danneggerà senza dubbio anche la comunità drusa e i drusi delle alture del Golan non accetteranno mai di essere giudicati dalla storia come coloro che hanno causato una disastrosa guerra regionale. Qualsiasi risposta mortale da parte di Israele potrebbe scatenare una risposta corrispondente e lo spargimento di sangue non si fermerebbe”.
“Sembra che, per ora, i drusi siano disposti a contenere il disastro, soprattutto perché l’accordo sugli ostaggi [con Hamas ndr.] è sul tavolo e questa volta è più vicino che mai. In passato, Hezbollah ha annunciato che cesserà il fuoco allorquando Israele raggiungerà un accordo nel Sud [cioè a Gaza ndr], quindi la possibilità di stabilire la pace nel Nord è a portata di mano: tutto ciò che resta da fare al governo è fare passi in avanti nei negoziati, fermare la guerra e riportare indietro gli ostaggi. Nel frattempo, Hamas sta già morendo ed è molto dubbio che si riprenderà mai”.
Invece, il sangue dei bambini drusi è stato usato per innescare una potenziale guerra regionale e l’accordo sugli ostaggi, che avrebbe chiuso la guerra a Gaza e quella con Hezbollah, adesso è più lontano che mai. In una mossa, Netanyahu ha centrato due obiettivi.
Netanyahu e le visite al Congresso Usa
Di interesse anche un articolo del New York Times a firma di Steven Simon dal titolo: “Solo un forte ‘no’ degli Stati Uniti a Israele fermerà un’altra guerra”. Purtroppo, finora da Washington sono arrivati solo insulsi balbettii, che hanno permesso a Netanyahu e ai politici più estremi di Israele di fare tutto quel che volevano.
Stavolta, però, la posta è molto più alta: non si tratta solo della vita di centinaia di migliaia di palestinesi – tale la cifra reale delle vittime, tra decessi avvenuti e quelli in fieri – di cui importa poco a tanti in Occidente, soprattutto tra i potenti, ma di una guerra ad altissimo rischio globale, dal momento che, tra le altre cose, incombe anche la variabile atomica.
In una nota del 7 giugno scrivevamo: “Intanto è stata fissata la data in cui Netanyahu si recherà negli Stati Uniti a parlare al Congresso, dal quale gli è arrivato un invito bipartisan. Date le pulsioni per iniziare una guerra contro Hezbollah, che sarebbe troppo impegnativa per la sola Tel Aviv, Netanyahu deve trascinare anche gli Usa con sé. Potrebbe essere quella l’occasione giusta, se preceduta da un incidente significativo sul confine libanese”.
Piccolo errore di tempistica: l’incidente è avvenuto subito dopo il suo intervento, con Netanyahu però ancora negli States. Appare appropriato, sul punto, un titolo di Responsible Statecraft: “Gli interventi di Bibi al Congresso non finiscono mai bene”.