La Russia darà gli S-300 alla Siria
Tempo di lettura: 3 minutiLa Russia dunque ha deciso di consegnare i sistemi anti-aerei S-300 alla Siria. Una risposta all’abbattimento dell’aereo russo da parte dell’aviazione israeliana, che ha usato l’Ilyushin-20 come scudo contro la contraerea di Damasco.
L’iniziativa russa è accompagnata dalla chiusura del tratto di mare adiacente la Siria, che sarà monitorato dalle difese elettroniche russe e conseguentemente difeso.
Ciò almeno fino al 26 (peraltro festa dei santi Cosma e Damiano, i santi più venerati della Siria), data in cui finirà l’esercitazione delle forze russe di stanza nel Paese. Ma sembra che l’interdizione aeronavale possa essere prolungata.
Se la consegna degli S-300 preoccupa relativamente Tel Aviv, dal momento che ritiene di potervi far fronte, la seconda misura la rende oltremodo nervosa, anche perché è dal mare che gli aerei israeliani hanno fatto partire i loro attacchi alla Siria negli ultimi tempi, in particolare dopo che Damasco aveva abbattuto un loro velivolo in azione sul territorio siriano.
La mossa russa al momento non sembra aver suscitato le ire del governo di Tel Aviv, anche se esse difendono la loro versione dell’accaduto, che ovviamente li discolpa da ogni responsabilità, negando quindi motivazioni e legittimità alla reazione di Mosca.
A stare ai giornali israeliani emergono due approcci all’iniziativa russa. Da una parte l’irrevocabilità della scelta di continuare gli attacchi ad asseriti obiettivi iraniani in terra siriana.
Dall’altra, data la nuova difficoltà posta alla prosecuzione di tali azioni, la necessità di ricevere l’aiuto dagli Stati Uniti. Netanyahu incontrerà Trump a margine dell’assise dell’Onu, che si svolgerà dal 25 al 26 settembre. Sicuramente sarà questo il tema centrale del colloquio.
Difficile immaginare il futuro. Una cosa è certa. Israele era convinta di godere di un’immunità irrevocabile.
Anche l’accordo con Putin precedente all’abbattimento dell’Ilyushin-20, che ha visto la Russia scegliere la neutralità piuttosto che la difesa dell’alleato siriano, aveva confermato Tel Aviv sul fatto che nessuno avrebbe mai intaccato tale immunità.
Una convinzione che ha presumibilmente giocato un ruolo anche nelle spericolate manovre che hanno portato al fatale abbattimento dell’Ilyushin-20. L’aviazione israeliana era convinta che Putin non avrebbe preso delle misure volte a minare tale immunità.
Non è andata così. E ora è tutto sospeso. Se Israele persevererà nella via dello scontro con la Russia, ormai più che dichiarato, si rischia tanto.
Come un ulteriore fattore di rischio è dato dal sanguinoso attentato avvenuto in Iran, dove un commandos terrorista ha ucciso 30 persone durante una parata militare.
Teheran sa bene, come tutti d’altronde, chi arma e finanzia i jihadisti, i cui miliziani vanno spesso a mescolarsi e confondersi con i terroristi.
Questi ultimi finora avevano evitato di colpire in Iran, limitandosi (almeno nel Medio oriente) ad azioni di contrasto all’Iran in Iraq e Siria o altri Paesi arabi (vedi Yemen).
L’attentato di sabato scorso alla parata militare di Ahvaz è un segnale preoccupante. Perché fa entrare la variabile del Terrore nel confronto a distanza tra Teheran e petro-monarchie del Golfo.
È evidente che qualcuno sta spingendo per alzare il livello dello scontro. Da vedere come gli Stati Uniti si posizioneranno in questa ulteriore sfida.
Finora l’amministrazione Trump ha evitato uno scontro diretto con Mosca e il confronto con Teheran è rimasto limitato a minacce e sanzioni.
Una predisposizione pregressa che però, date le fibrillazioni attuali, non garantisce per l’avvenire.
Durante l’assise dell’Onu, alla quale saranno presenti i vari attori di questo dramma, sicuramente si intrecceranno trattative sottotraccia, tacite e incrociate. Speriamo si trovi una quadra che eviti il peggio.