La Russia sembra entrata nel negoziato mediorientale
Il nuovo ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, che ha preso il posto del dimissionato Yoav Gallant, ha dichiarato che il suo Paese ha sconfitto Hezbollah e che il proseguimento delle operazioni militari ha solo lo scopo di far pressione sul nemico per raccogliere i frutti di questa vittoria, aggiungendo che Tel Aviv non si intrometterà nella politica interna del Paese, avendo “imparato le lezioni del passato” (US news).
Presa d’atto, quest’ultima, alla quale ha aggiunto che spetta ad altri cogliere l’occasione per cambiare il volto politico del Paese dei cedri e portarlo a normalizzare le sue relazioni con Israele, ma questa è più una vana speranza che altro, dal momento che sa bene che le pressioni Usa volte a eliminare Hezbollah non stanno dando alcun frutto.
Il difficile negoziato
Quel che importa sottolineare è che, secondo Katz, la guerra si è conclusa, una dichiarazione in linea con quanto comunicato agli Usa dall’alto Comando dell’esercito israeliano e che è sintetizzata in altro modo da Amos Harel su Haaretz, quando scrive che si è conclusa la missione principale dell’esercito, quella di “controllare e distruggere le infrastrutture terroristiche nella prima linea di villaggi fino a 5 chilometri dal confine”.
Certo, aleggia una seconda fase, prosegue, che comporta la penetrazione in profondità dell’esercito, ma ad oggi si tratta di un’opzione rischiosa, secondo Harel, perché incombe l’inverno e dovrebbero essere richiamati alla leva altri riservisti. Harel omette di dire che i rischi di un’incursione in profondità sono molto alti, forse troppo, come denota il fatto che l’esercito israeliano ha dovuto ripiegare all’interno dei confini del proprio Paese e che i suoi soldati e le sue basi sono bersagliati continuamente, ma è inutile aggiungere.
Di interesse, invece, un altro cenno di Harel: “L’ufficio di Netanyahu sta diffondendo ottimismo sulle possibilità di raggiungere presto una soluzione diplomatica e un cessate il fuoco in Libano, anche se non è chiaro su cosa si basi tale previsione”.
La Russia entra nel caos mediorientale
Sul punto, però, una rivelazione di rilevanza primaria da parte del Timesofisrael: “Il ministro degli Affari strategici Ron Dermer ha visitato segretamente la Russia la scorsa settimana, ha riferito domenica la radio dell’esercito, in quella che sembra parte di una iniziativa di Israele per raggiungere un cessate il fuoco in Libano”. Rivelazione alla quale aggiunge che sabato sera Dermer è volato negli Stati Uniti… Dermer è un consigliere chiave di Netanyahu, particolare che accredita maggiore importanza ai suoi viaggi.
Di interesse il fatto che il Timesofisrael ricorda anche la visita della delegazione russa in Israele del 24 ottobre e aggiunge che non era collegata a un accordo con Hamas per liberare due ostaggi russi, come accreditato al tempo (spiegazione che anche a noi era apparsa fallace).
Insomma, sembra che la Russia sia entrata nella trattativa mediorientale, cosa che il Segretario di Stato Tony Blinken, il quale ha coordinato la politica estera degli Usa verso la regione, ha finora contrastato in tutti i modi perché voleva imporre la sua soluzione, che poi corrispondeva a quella dell’establishment israeliano.
Una pretesa che ha ingarbugliato ancor più il già complesso puzzle regionale, volendo Blinken imporre la normalizzazione degli Stati arabo-sunniti con Israele assecondando il genocidio in corso, cosa inaccettabile anche per i cinici reali sauditi.
L’imprevedibile Trump
La possibile svolta si deve alla vittoria di Trump, che depotenzia l’attivismo di Blinken e del suo sodale Amos Hochstein, l’inviato Usa per il Libano, feroce sostenitore della causa anti-russa (in precedenza, ad esempio, fu inviato in Germania per convincere i tedeschi a rinunciare al Nord Stream 2, poi sabotato).
Ma la necessità di esplorare nuove vie è data anche dall’incertezza che nutre la leadership israeliana riguardo l’approccio alla regione della nuova amministrazione Usa. Nell’articolo di Harel citato, ad esempio, si spiega che Trump potrebbe “forzare” un cambiamento, facendo “uscire Israele dalla sua lunga guerra di logoramento su più fronti”. E un concetto analogo è espresso, in parallelo, da Yossi Melmam in un altro articolo di Haaretz dal titolo: “L’imprevedibile Trump non è in mano a Netanyahu”.
Sul punto, riportiamo un altro cenno del Timesofisrael succitato: “Donald Trump ha informato l’amministrazione Biden che si aspetta progressi negli sforzi per raggiungere un cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah”.
Il media libanese al Akhbar riferisce che tale sollecitazione sarebbe stata formalizzata tramite missiva. Sempre sul punto, al Akhbar rilancia un cenno del media israeliano Channel 12: “I negoziati sul Libano si stanno svolgendo con la partecipazione di Israele, Libano, Russia, America e Iran, e il calendario è sviluppato in vista della sostituzione del governo alla Casa Bianca”.
La forzatura degli accordi di Abramo
Peraltro, l’annuncio che Jared Kushner, patron degli Accordi di Abramo (cioè il progetto per normalizzare i rapporti tra Israele e Paesi arabo-sunniti lanciato dalla scorsa presidenza Trump) non farà parte della nuova amministrazione, potrebbe indicare che il neopresidente Usa non voglia perseguire tale prospettiva con l’attuale perniciosa ossessione.
Prospettiva, peraltro, che, nonostante non possa dirlo apertamente, non è attualmente nelle corde del Regno saudita, sia a motivo del genocidio di Gaza, contro il quale il suo establishment si è espresso duramente, sia perché non vuole intrupparsi nella crociata anti-Iran sottesa a tali Accordi, come denotano alcune iniziative recenti, ad esempio le esercitazioni navali congiunte tra flotta saudita e quella iraniana del mese scorso e l’incontro di ieri dei più alti gradi militari dei due Paesi avvenuto a Teheran.
Si tratta di segnali timidi, come sospese sono le prospettive della nuova amministrazione americana. Ma di momentaneo sollievo. Da ultimo, un cenno sul titolo dell’articolo: in realtà Mosca ha conservato i suoi rapporti in Medioriente durante il conflitto, ma sembra che per la prima volta il dialogo con Israele si sia fatto meno arduo.