Ucraina: la sconfitta del negoziato e il sosia di Zelensky
Tempo di lettura: 4 minutiZelensky rilancia. E in un fantasmagorico uno-due dichiara che il suo Paese combatterà per altri dieci anni e che si accinge ad attaccare la Crimea, mentre accumula un piccolo esercito di 6-7mila armati ai confini della Transnistria, enclave russa situata tra Ucraina e Moldovia (con Mosca che ha già avvertito sulle gravi conseguenze di un eventuale attacco).
La visita di Biden lo ha rafforzato, con Politico che spiega come il presidente americano l’avrebbe incitato a lanciare una controffensiva. Operazione votata al suicidio, dal momento che i russi si apprestano a completare il dispiegamento delle reclute, ormai addestrate, provenienti dalla coscrizione obbligatoria lanciata quando è iniziata la seconda fase del conflitto, cioè la guerra di logoramento in Donbass.
Le pressioni su Zelensky per chiudere il conflitto
La pace può attendere, dal momento che le pressioni per aprire un negoziato sembrano essere state contrastate con efficacia. Tali pressioni erano iniziate con la visita del Capo della Cia a Kiev a inizio gennaio, nella quale William Burns aveva spiegato al suo interlocutore che l’America poteva sostenerlo per pochi mesi ancora e che quindi si aprisse al negoziato.
Non il solo Burns, ma, come rivelava il Washington Post, anche altri esponenti dell’amministrazione Biden in quei giorni avevano visitato Kiev in segreto per sollecitare Zelensky a mollare. Non è nell’interesse degli Stati Uniti che la guerra prosegua, ribadiva in parallelo un documento della Rand Corporation.
Esplicitato, vuol dire che gli Stati Uniti temono che la Russia possa vincere la guerra nei modi e nelle forme con cui ciò potrebbe avvenire (collasso dell’Ucraina, collasso improvviso delle forniture di armi Nato a Kiev etc).
Non essendosi piegato alle sollecitazioni, la Cia aveva organizzato una sorta di golpe a Kiev, costringendo il ministro della Difesa Oleksiy Reznikov, fedelissimo di Zelensky, ad annunciare le proprie dimissioni, dopo una serie di scandali (relativi alla corruzione) che avevano falcidiato l’inner circle del presidente ucraino, finendo per lambire anche il ministro suddetto. Avrebbe dovuto sostituirlo il capo dell’intelligence militare Kyrylo Budanov, più realista e soprattutto legato a Burns per ragioni di intelligence.
Non solo, alcuni giorni prima, Benjamin Netanyahu aveva annunciato di essere pronto a mediare tra i contendenti, se ci fossero state le condizioni adeguate, ovvio. E, successivamente, l’ex primo ministro d’Israele Naftali Bennet rivelava per la prima volta che la sua mediazione tra Russia e Ucraina, svolta all’inizio della guerra, era quasi riuscita, ma era stata fatta saltare da Regno Unito e Stati Uniti (ma il riferimento al tentennamento di Biden era significativo… nasconde le pressioni dei neocon sul presidente Usa, più conciliante).
Quando Sholz e Macron hanno invitato Keiv ai negoziati
Così giungiamo a metà febbraio, quando il Capo degli Stati Maggiori congiunti degli Stati Uniti, generale Mark Milley, dichiarava che nessuno dei due contendenti poteva vincere, da cui l’inevitabilità di aprire un negoziato.
Il canto del cigno di tale pressioni si è consumato nel tour europeo di Zelensky. Pur se acclamato come un eroe dal Parlamento di Bruxelles, nell’incontro a porte chiuse con Sholz e Macron il presidente ucraino era stato pressato perché avviasse una trattativa con i russi, come avevamo accennato in una nota pregressa, confermata da una rivelazione della scorsa settimana del Wall Street Journal (Zelensky aveva detto, invece, che avevano fatto un accordo segreto per l’invio di ulteriori armamenti…).
Ma la pressione è andata a vuoto. Qualcuno, molto potente (leggi Nato, neocon, Regno Unito etc) ha spinto Zelensky a resistere, mandando a vuoto le pressioni per la pace e il malcelato golpe a Kiev. Simbolo di tale fallimento, è appunto il fatto che le dimissioni del ministro della Difesa sono rientrate (ma qualche maretta continua: oggi Zelensky ha licenziato un alto comandante militare). Reznikov è ancora saldamente al potere e della sua sostituzione non parla più nessuno.
A favorire tale sviluppo anche il terremoto in Turchia, che ha reso fragile Erdogan, il quale è una pedina fondamentale di questo puzzle geostrategico. dal momento che il sultano ha stretto relazioni molto forti con Mosca, aiutandola a resistere alle sanzioni in vari modi. Da ultimo accettando l’idea di creare di un hub per la vendita del gas russo, progetto di cui si doveva parlare a metà febbraio, con appuntamento rimandato causa sisma (peraltro, dopo il terremoto, la sua opposizione all’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato si è ammorbidita).
Il Che Guevara ucraino e il suo sosia
Così Zelensky in questi giorni ha rilanciato, annunciando, al solito, azioni potenzialmente foriere di portare a una guerra termonucleare. Tale il lucido delirio del presidente ucraino (e dei suoi sponsor), che pure è presentato come una sorta di novello Che Guevara. Tale la proiezione che gli hanno cucito addosso i suoi sceneggiatori e sponsor (insieme alla magliettina military style).
Resta, però, quanto scrive William Schryver in un meditato articolo pubblicato sul Ron Paul Institute: “La mossa di usare l’Ucraina come un attentatore kamikaze per ferire mortalmente la Russia è fallita miseramente sotto ogni aspetto geostrategico fondamentale”.
La fazione più realista dell’Occidente vuole incassare quanto guadagnato finora, in particolare la subordinazione totale e provvisoriamente definitiva dell’Europa agli Stati Uniti, cosa descritta in maniera implicita un articolo del New York Times dal titolo “La guerra in Ucraina ha cambiato l’Europa per sempre”.
Teme, tale fazione, che il prolungamento della guerra, oltre a devastare in maniera irreversibile l’Ucraina (rendendola inservibile in futuro), logori eccessivamente il Vecchio Continente e soprattutto la rete di alleanza globale degli Usa, forse più di quanto possa logorare la Russia e il suo ruolo internazionale. E soprattutto tema che il conflitto distragga troppe risorse dal confronto con la Cina.
Ma per ora tale fazione, sconfitta, deve accodarsi all’assertività dei neocon, limitandosi a tentare di frenarne le spinte eversive in attesa di future opportunità.
Chissà se una nuova possibilità in tal senso andrà a svilupparsi, come la precedente, attraverso un golpe più o meno mascherato in Ucraina. Nel caso servisse sostituire Zelensky, c’è già pronto un suo sosia a Kiev, che potrebbe eventualmente prenderne il posto.
Polish media accidently recorded #Zelensky's double when they covered #Biden's visit to #Kyiv#Awkward pic.twitter.com/F2ufQk76z0
— Arthur Morgan (@ArthurM40330824) February 25, 2023
L’esistenza del sosia del presidente ucraino è stata svelata accidentalmente da un simpatico filmato girato durante la visita di Biden a Kiev. E dire che Zelensky aveva avanzato l’ipotesi che Putin fosse morto e a guidare la Russia fosse un suo sostituto… Evidentemente era preparato sul tema…
Chissà se il sosia in questione è lo stesso di cui aveva parlato il Washington Post che, a inizio guerra, aveva rivelato che un sosia di Zelensky era riuscito a scappare in Polonia “grazie all’aiuto dei sosia di Putin e di Kim Jong-un”.
Ma al di là dell’ipotesi ironica sulla sostituzione di Zelensky e di altre, aleatorie, sul presente e sul futuro, resta una guerra che non vuole finire. Una guerra infinita, appunto, di quelle per le quali vanno matti, nel senso letterale del termine, i neocon. Vedremo.