Si chiude l'era Netanyahu?
Tempo di lettura: 3 minutiSembra che Israele, per la prima volta da anni, avrà un governo senza Netanyahu. Yair Lapid, infatti, al quale il presidente Reuven Rivlin ha dato l’incarico di formare un governo, sembra destinato a riuscire dove Bibi ha fallito.
Quando Netanyahu, subito dopo le elezioni, ha ricevuto l’incarico, era fiducioso di riuscire, come sempre, a superare le tante difficoltà nel costruire una coalizione di governo, sicuro di poter portare dalla sua parte anche i leader politici a lui più avversi. Ma per la prima volta ha dovuto arrendersi.
Così ha messo in moto il piano B: impedire al suo rivale centrista di assemblare i 61 voti necessari a ottenere la maggioranza alla Knesset, il parlamento israeliano.
Infatti, quello di Lapid è compito arduo, dato che è chiamato a mettere insieme forze più che eterogenee: Yesh Atid, il suo partito, Khaol Lavan, Meretz e Labour, di centrosinistra, con i partiti di destra Israel Beitenu e New Hope, ai quali dovrebbe aggregarsi l’ultradestra di Yamina; il tutto sostenuto dai partiti arabi.
E su questa difficoltà ha puntato Netanyahu nel tentativo di sfilare parlamentari a tali partiti, portandoli dalla sua parte. Una campagna che si è concentrata per ora su Yamina, la più attaccabile, perché l’ex premier pensava di aver gioco facile a convincere gli eletti di questo partito di ultra-destra a non aderire a un governo sostenuto dalla sinistra e dagli arabi.
E così ha provato, “promettendo loro di tutto, dal ponte di Brooklyn a proprietà privilegiate su Marte”, come scrive Alon Pinkas su Haaretz. Un tentativo che sembrava anche riuscito, dato che un membro di Yamina, Amichai Chikli, ha pubblicamente dichiarato la sua impossibilità di appoggiare un governo di unità nazionale,
Nel dare la notizia, i media israeliani riferivano che non era solo, ché altri due o tre membri del suo partito avrebbero presto unito la loro voce alla sua. Nello stesso giorno, un esponente dei partiti arabi dichiarava il suo niet a un governo con i partiti di destra.
Sembrava così profilarsi l’ennesima vittoria di Netanyahu, ma è andata diversamente: gli altri eletti di Yamina hanno confermato la loro fedeltà alle prospettive indicate dal loro leader, Naftali Bennet, il quale ha da tempo dichiarato di esser pronto a far nascere un governo di unità nazionale pur di evitare nuove, disastrose, elezioni al Paese.
E questo potrebbe chiudere i giochi, dato che il sostegno delle liste arabe, o almeno una delle due presenti alla Knesset, inevitabile per ottenere la maggioranza alla Knesset, dovrebbe essere scontato (in modi e forme da stabilirsi).
Certo, l’ormai ex premier ha ancora frecce al suo arco, ma sembra improbabile che possa riuscire a sfilare eletti al partito New Hope di Gideon Sa’ar, l’altra forza politica su cui può puntare le sue bocche da fuoco: transfughi del suo partito, sanno che con la loro piccola forza politica possono ottenere dal nuovo governo ben più di quanto possa offrirgli il loro ex capo.
Insomma, la prospettiva di un governo di unità nazionale sembra fatta, nonostante Netanyahu ostenti la solita sicurezza, dichiarando che tanto “non vanno da nessuna parte”.
Così ci si interroga già sul futuro, sulle reali possibilità di un governo siffatto: troppo eterogeneo, cadrà presto, nonostante accordi blindati e la rotazione del primo ministro, incarico che si divideranno Lapid e Bennet.
Il collante di questo governo, scrivono i media israeliani, è l’odio verso Netanyahu, un collante quindi troppo aleatorio – come temono alcuni e sperano altri – per poter reggere nel tempo.
Ma il punto è proprio questo: tutte queste forze politiche sono unite dall’idea, diventata quasi ideale, che sia giunto il momento che la patria degli ebrei sganci il proprio destino da quello di Netanyahu.
Così, ironia del destino, è stata proprio la forza di Netanyahu a negarli il successo: troppo potente, ha costretto tutte le forze che non volevano piegarsi a lui a cercare sostegno l’una nell’altra, al di là delle ideologie e delle prospettive che incarnano.
Questo il senso del governo di unità nazionale che sembra ormai destino manifesto di Israele. Un governo che, data la sua natura, vivrà di compromessi e congelerà tutte le questioni sulle quali le diverse forze politiche rischiano di confliggere.
Un governo che avrà un compito primario, quello di chiudere per sempre l’era Netanyahu, sia erodendone il potere rimasto, sia – anche se l’obiettivo è inconfessabile – distruggendone ogni prospettiva di rinascita politica, in modi e forme da ricercare.
Netanyahu sa perfettamente tutto questo e si difenderà con tutti i mezzi a sua disposizione. Resta da vedere se anche per lui varranno le usuali dinamiche del potere, che vede l’inner circle dei potenti disgregarsi quando lo perdono. Cosa che renderebbe la sua resistenza molto meno efficace.
Ma tutto questo riguarda il futuro. Oggi va registrato semplicemente che per la prima volta dopo anni il mago della politica israeliana ha perso il suo tocco magico.