7 Agosto 2024

Sinwar nuovo capo di Hamas. Vince Netanyahu

Assassinare Haniyeh aveva lo scopo di prolungare la guerra, ha detto Mahmoud Abbas. L'elezione di Sinwar a capo di Hamas lo conferma
Sinwar nuovo capo di Hamas. Vince Netanyahu
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Netanyahu ieri deve aver brindato a champagne: Hamas ha scelto Yahya Sinwar come suo nuovo capo al posto del moderato Haniyeh, che il premier israeliano ha fatto eliminare proditoriamente mentre si trovava in Iran.

Sinwar, oltre che essere l’architetto del 7 ottobre, è stato anche il più ostile ai negoziati con Israele che, con la sua elezione, rischiano di essere parte di un passato che non tornerà più. Da ieri Netanyahu potrà brandire l’impossibilità di trattare con una figura tanto odiata in Israele e avversata in tanta parte del mondo, come anche usare dell’assolutismo del nuovo capo di Hamas per trovare nuovi modi per sabotare eventuali trattative.

Tutto il cosiddetto asse della Resistenza – dalle varie fazioni palestinesi all’Iran a Hezbollah per finire con gli Houti – hanno accolto con favore la nomina, ma non poteva che essere così, dal momento che non possono abbandonare Hamas in un momento in cui, a causa del massacro diuturno che si consuma a Gaza, la milizia è diventata il simbolo della causa dei palestinese. Resta da vedere se, in combinato disposto con le fazioni meno estreme di Hamas, gli attori esterni riusciranno a smussare le asperità di Sinwar.

Perpetuare la guerra

Lo scopo dell’assassinio di Haniyeh era prolungare la guerra, ha detto il presidente della Palestina Mahmoud Abbas. E così è stato. Nei calcoli del premier israeliano più a lungo durerà questa maledetta guerra più aumenterà la sua presa del potere.

Ne scriveva due giorni fa anche Alon Pinkas su Haaretz: “Uno stato di guerra permanente, accompagnato da incertezza, paure, ansie, tensioni, difficoltà economiche e stress mentale è esattamente dove Netanyahu vuole portare gli israeliani. Sopire la politica con la realtà di una guerra senza fine è il suo obiettivo”.

Israel Has No Foreign Policy, Only a Prime Minister Willing to Set the Region Ablaze

Tale strategia ha ovviamente anche uno scopo meno interno, infatti il prolungamento della guerra, nei calcoli di Netanyahu, perpetuando la mattanza di Gaza, aumenta le possibilità di svuotarla dei suoi abitanti e annetterla secondo il piano delineato a suo tempo, cioè creando delle riserve indiane – o lager che dir si voglia – dove rinchiudere in via temporanea i sopravvissuti, in attesa di disfarsi anche di questi ultimi. Inoltre, più prosegue la guerra e più aumentano le possibilità di allargarla a Hezbollah e all’Iran, obiettivo che Netanyahu persegue con maniacale tenacia da decenni.

Come scrive sempre Pinkas, Netanyahu è “squilibrato, e disposto a incendiare la regione per i suoi calcoli politici. Ciò ha persino meritato un titolo del New York Times: ‘Netanyahu, provocatorio, sembra essersi ribellato, rischiando una guerra regionale'”. Tanto che Pinkas lo definisce “Rogue”, canaglia, usando in maniera precipua il termine che i suoi sodali neocon d’oltreoceano attribuiscono con larghezza ai suoi-loro antagonisti geopolitici.

Netanyahu, Defiant, Appears to Have Gone Rogue, Risking a Regional War

Quanto alla possibilità dello scatenarsi di una guerra regionale, ma di ovvia portata globale, mai siamo stati tanto prossimi a tale disastro, con l’Iran che ha promesso di rispondere all’omicidio di Haniyeh e Hezbollah a quello del braccio destro del suo leader Nasrallah.

Secondo un rapporto rilanciato dal Timesofisrael basato su fonti americane, l’Iran starebbe riconsiderando la decisione di reagire. Report contraddetto da quanto affermato dal comandante dell’esercito iraniano, generale Abdolrahim Mousavi, il quale oggi ha invece ribadito che il suo Paese risponderà (Tansim agency).

Iran could rethink Israel attack amid strong diplomatic pressure from US – report

La visita del Consigliere per la Sicurezza nazionale russo Sergej Shoigu a Teheran, in combinato disposto con le pressioni Usa su Israele perché non risponda a sua volta all’attacco, dovrebbero riuscire a smussare la risposta iraniana. Da vedere, però se ciò eviterà l’escalation della controparte.

Di interesse, sul punto, quanto affermato ieri dal leader di Hezbollah, il quale, pur ricordando che Teheran ha promesso di reagire, ha fatto un’affermazione sibillina: “Alla luce della natura della battaglia e dei piani del Fronte della Resistenza, l’intervento dell’Iran e della Siria nella lotta non è necessario”; parole che fanno il paio con un’altra affermazione: “La nostra risposta arriverà insha’ Allah, forse da soli, forse come parte del Fronte di Resistenza” (al Manar).

S. Nasrallah : notre riposte viendra, si Dieu le veut, seule ou dans le cadre d’une réponse globale à l’ensemble du Front de la résistance

Le incognite di un conflitto totale

Detto questo, nessuno ha la sfera di cristallo e in questo caos, dove la situazione cambia di minuto in minuto, non azzardiamo previsioni. Ci limitiamo a riferire notizie che ci sembrano di interesse.

Secondo Politico, “Israele è a corto delle munizioni necessarie per respingere efficacemente un attacco importante previsto da Iran e Hezbollah”. Sempre Politico riferisce del sovraccarico dei sistemi difensivi israeliani nel caso di un attacco massivo, da cui la perdita di efficacia degli stessi. Come spiega Tom Karako, direttore del Missile Defense Project at the Center for Strategic and International Studies: “Non ci sono abbastanza Iron Dome al mondo per gestire 100.000 missili”.

Tutto ciò va letto in parallelo con un’altra affermazione di Nasrallah: “Ciò che il nemico ha in termini di capacità economica nel Nord, e che equivale a più di 130 miliardi di dollari, potrebbe essere spazzato via in mezz’ora”.

A complicare i calcoli di Tel Aviv, la fornitura di missili a testata Emp a Hezbollah da parte di Teheran. Tali ordigni servono a far collassare i sistemi elettronici e renderebbero più ardua la difesa.

Nel frattempo anche l’Iran sta incrementando il suo arsenale. Non sappiamo se sia vero che ha ricevuto i sistemi di guerra elettronica Murmansk-BN dalla Russia, di certo ha testate Emp (come quelle fornite a Hezbollah). E, anche se non sappiamo se abbia o meno ricevuto i richiesti sistemi anti-aerei S-400 dalla Russia, sappiamo che ha recentemente prodotto qualcosa di similare (i sistemi Arman e quello Azarakhsh).

Insomma, Netanyahu e i suoi sodali stanno giocando col fuoco, anche sulla pelle dei propri cittadini, perché l’incendio appiccato, se divamperà, divorerà anche il suo Paese, anche se intervengono gli Stati Uniti (i quali, peraltro, non vogliono affatto ingaggiarsi in una nuova avventura mediorientale in questo periodo pre-elettorale).

Inoltre, ne abbiamo accennato, ma va ribadito: una guerra contro l’Iran, tra le altre cose, chiuderebbe lo Stretto di Hormuz, innalzando al parossismo i costi energetici dell’Occidente, la cui economia già barcolla, come ha evidenziato l’improvviso quanto drastico calo delle Borse di lunedì scorso.

Senza considerare i cavi che collegano l’etere del mondo e che si allungano sui fondali del Mar Rosso, cioè alla mercé degli Houti. In caso di guerra totale, la decisione degli Houti di risparmiarli dalle ostilità potrebbe essere riconsiderata (alla loro importanza strategica abbiamo dedicato la nota dal titolo: “I cavi sottomarini: l’atomica degli Houti“).