Siria. L'aggressione israeliana e la telefonata Putin-Erdogan
Le nebbie si stanno diradando nel caos siriano e ormai quanto avvenuto è alquanto chiaro e riflette quanto abbiamo scritto in precedenza. Se il ruolo di Stati Uniti e Israele (e Ucraina) e Turchia nel sostenere e armare le milizie salafite era chiaro, restava il dubbio sul ruolo dei Paesi del Golfo, che molti ritenevano conniventi con essi.
In realtà, sono stati spettatori di uno spettacolo altrui, anche se alla fine hanno accettato quanto avvenuto, anzi hanno lodato la svolta, non potendo far altro. Ma sanno bene che l’affermarsi di entità che brandiscono l’islam sunnita con declinazioni rivoluzionarie non gli porterà bene.
D’altronde, al tempo del Terrore post 11 settembre, la furia terrorista si scatenò anche contro i Paesi islamici, uccidendo più qui che in Occidente (allora al Golani, leader della principale forza “ribelle” siriana, era l’agente incaricato di gestire la sezione siriana di al Qaeda, diventando numero 2 di al Baghdadi, leader dell’Isis, per poi prenderne le distanze).
Insomma, la svolta siriana getta ombre sui Paesi sunniti antichi e accettati, soprattutto se Damasco sprofonderà nel caos, diventando un brodo di coltura per il Terrore di domani ed epicentro di un sisma le cui scosse telluriche si ripercuoteranno sull’intera regione e oltre.
L’aggressione israeliana e l’impossibile sorpresa
Non per nulla l’Arabia saudita ha condannato l’invasione israeliana del Paese confinante, dichiarando che “l’occupazione da parte di Israele di una zona cuscinetto sulle alture del Golan dimostra la sua determinazione a sabotare la possibilità ripristinare la stabilità in Siria” (al Arabya).
Per inciso, la mossa israeliana ha tutte le caratteristiche di un’invasione, come anche i raid massivi che sta effettuando contro le infrastrutture militari del Paese confinante, 450 finora (e continueranno in futuro, hanno assicurato). Ma, a quanto pare, il termine aggressione è riservato solo agli antagonisti di Washington.
L’altra grande domanda riguarda l’elemento sorpresa, cioè come sia stato possibile che, non solo l’intelligence siriana, ma anche Iran e Russia non si siano accorti che si stava preparando un attacco in grande stile contro Damasco. In realtà, lo sapevano, eccome, e da mesi (d’altronde, bastava osservare i media per averne contezza).
Tanto che avevano messo in guardia Assad, con la Russia che lo aveva invitato ad aprire il governo alle opposizioni, come scrive Pepe Escobar. Una sollecitazione ribadita in maniera pressante nella visita di Assad in Russia di fine novembre. Ma il presidente siriano non ha ascoltato.
Di fatto era un invito a far entrare nel governo alle fazioni filo-turche, protagoniste, insieme alle milizie armate dall’Occidente, della svolta siriana. Non solo, Assad ha nicchiato anche sull’offerta di Teheran di inviare rinforzi (diretti o milizie sciite), continua Escobar, ritenendo che il suo esercito e l’appoggio dei Paesi del Golfo fossero sufficienti ad assicurare la difesa del Paese.
Probabile che abbia ragione il New York Times quando spiega come Assad stesse trattando con Washington, tramite gli Emirati arabi, per negare all’Iran di usare il territorio siriano per supportare Hezbollah in cambio del recesso delle sanzioni, cosa che probabilmente gli ha fatto ritenere di non dover temere sorprese. Trattativa svaporata con l’aggressione delle milizie salafite (l’usuale ambiguità di Washington…).
Il resto è cronaca, con le città siriane che cadono una dopo l’altra e Russia e Iran che, data la confusione di Assad e del Paese, decidono di disimpegnarsi, evitando la trappola tesa loro da Stati Uniti e Israele, cioè l’apertura di un nuovo fronte per erodere ulteriormente le risorse, umane e materiali, dei due antagonisti, regionali e globali (già erose dalla guerra ucraina, per quanto riguarda Mosca, e dal conflitto mediorientale, per quanto riguarda Teheran).
Dato tale disimpegno e il collasso dell’apparato militare, ad Assad non rimaneva che capitolare, cosa avvenuta in un concordato tra le parti, come denota l’accordo tra il Primo ministro e le milizie armate per una transizione ordinata del potere (almeno tentativamente).
La telefonata Putin-Erdogan
Ma manca un tassello nella ricostruzione di Escobar, che va a spiegare come sia stato possibile il crollo tanto repentino delle forze di Damasco e così relativamente incruento, con l’esercito siriano che, a parte sporadici quanto furiosi scontri, si ritirava via via dalle città per lasciarle al nemico.
Lo stremo delle forze siriane, il collasso dell’economia causa sanzioni, la corruzione dilagante o il tradimento di alcuni dei suoi elementi, che pure c’è stato, non spiegano del tutto la velocità della caduta di Assad. E se certo, tale collasso è stato causato anche dalla consapevolezza degli alti gradi militari di aver perso l’appoggio di russi e iraniani, non spiega però le ritirate ordinate, i passaggi di consegna ordinati.
Per capire quanto avvenuto, probabilmente bisogna risalire alla telefonata del 3 dicembre tra Putin ed Erdogan, nella quale il sultano ha parlato al suo interlocutore dell’importanza di un dialogo tra le parti e della necessità di preservare la vita dei civili.
Di certo, Putin avrebbe preferito altro ma, data la situazione, deve aver dato mandato di mediare tra le forze filo-turche e l’apparato militare-politico di Assad perché fossero risparmiati i civili e fosse favorito un passaggio di consegne incruento.
Insomma, è ovvio che il regime-change è stato organizzato e sostenuto da Usa, Israele e Turchia, ma la fase finale si è dipanata, nelle sue grandi linee, in seguito all’accordo tra Mosca e Ankara, risparmiando al Paese ulteriori devastazioni. Non per nulla, subito dopo il crollo del governo Assad, Erdogan ha dichiarato che “siamo rimasti solo due leader al mondo: io e Putin”.
Putin non può parlare apertamente di tale intesa perché ne verrebbe minata l’immagine dell’uomo che non tradisce i suoi alleati, perché nel caso specifico avrebbe abbandonato Assad (in realtà, non è così, come abbiamo scritto, ma sarebbe complicato da spiegare). Inoltre, vuole conservare la giusta distanza dalle milizie islamiche che imperversano in Siria al soldo di altri. Ma tale retroscena potrebbe spiegare quanto resta di non spiegato.
Intanto, le milizie foraggiate anche da Washington e Israele ed esaltate da tutti i media mainstream occidentali si stanno producendo in esecuzioni sommarie, nel gaudio dei media di cui sopra. Non è un buon viatico per il futuro.