15 Ottobre 2018

Siria: di frontiere, petrolio e cloro

Siria: di frontiere, petrolio e cloro
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Dopo Quneitra, il confine tra Israele e Siria, riapre anche Nassib tra Siria e Giordania. Lo hanno annunciato le Nazioni Unite e il governo di Amman.

Le frontiere siriane

“La riapertura dei due valichi di frontiera segnala una vittoria di Bashar Assad dopo sette anni di guerra”, commenta Debkafile, aggiungendo che la riattivazione del transito di Nassib “ripristina la rotta principale delle esportazioni siriane”.

Al di là della terminologia militare, propria del sito israeliano, tale sviluppo indica che Damasco ha stabilizzato il territorio tornato sotto il suo controllo.

Non che il conflitto sia del tutto terminato, dato che persistono focolai di guerra, in particolare al Sud, nel zone desertiche di Sweida dove resta ancora l’Isis, contrastato con successo dall’esercito di Damasco, ma non domo.

Può contare infatti su un territorio che offre nascondigli mutevoli e sulla apparente compiacenza americana, dato che le truppe Usa non conducono operazioni similari nella zona, contigua all’area siriana attualmente sotto il suo controllo.

Tanto che Damasco li accusa di dar manforte ai terroristi (e non da oggi; d’altronde l’ambiguità delle operazioni Usa in Siria destano non pochi interrogativi).

Gli Usa in Siria

Peraltro agli Usa fa gioco la resistenza dell’Isis. La frase “finché c’è guerra c’è speranza”, titolo di un bel fim di Alberto Sordi, può forse spiegare l’inspiegabile, ovvero il prolungarsi della presenza in Siria di truppe americane senza alcun mandato e legittimità.

Per comprendere l’inspiegabile, ricorriamo a un commento di Globalresearch: “Quest’area contiene il 95% di tutto il potenziale del petrolio e del gas siriano, tra cui al-Omar, il più grande giacimento petrolifero del paese. Prima della guerra, queste risorse producevano circa 387.000 barili di petrolio al giorno e 7,8 miliardi di metri cubi di gas naturale ogni anno, ed erano di grande importanza economica per il governo siriano”.

“Tuttavia, cosa ancor più significativa, quasi tutte le riserve petrolifere siriane esistenti, stimate in circa 2,5 miliardi di barili, si trovano nell’area attualmente occupata dal governo degli Stati Uniti”.

Idlib

Resta poi l’enigma Idlib, al confine con la Turchia. L’accordo tra Russia e Turchia prevedeva la creazione di un’area de-militarizzata che separasse la canaglia jihadista dal resto del Paese. Tale area dovrebbe essere pattugliata da turchi e russi.

Ma mentre i turchi sono alquanto determinati nella loro campagna contro i curdi siriani, una guerra a bassa intensità che si sta consumando nel Nord del confine turco-siriano, nei pressi di Mambij, i militari di Ankara appaiono alquanto svogliati nel mettere in pratica l’accordo su Idlib.

Ciò anche perché Ankara sperava si potesse realizzare senza scontri sul terreno, ovvero attraverso un’intesa con le bande armate che controllano l’area. Ciò andava bene anche ai russi, stante che un’eventuale campagna contro Idlib è a rischio di “incidente chimico”.

Secondo i giornali arabi, commandos russi e siriani, nel segreto, stanno neutraliazzando le scorte di cloro che gli jihadisti hanno nascosto per inscenare un attacco chimico da attribuire a Damasco. Ma a quanto pare la minaccia non sarebbe del tutto sventata.

Peraltro, proprio oggi, Tahrir al Sham, ex al Nusra (al Qaeda), fortissima ad Idlib, ha annunciato che non accetta l’intesa. Una strana determinazione, che implica la sicurezza di poter contare su un sostegno internazionale occulto, dato che da sola non potrebbe resistere un giorno.

Dichiarazione che inquieta e pone criticità a un’intesa, quella tra Mosca e Ankara, che sembrava poter risolvere un nodo importante del conflitto.

L’asse Teheran – Damasco

Ma, al netto di tutte queste criticità, nuove e pregresse, il ripristino delle frontiere segna uno sviluppo importante per Damasco, come da cenno di Debka. Indica la riapertura del Paese al mondo, dopo anni nei quali è stato sprofondato nell’abisso.

Ai due transiti dovrebbe aggiungersi anche la riapertura formale del confine tra Iraq e Siria, che tanto inquieta Israele per via della connessione Teheran – Damasco – Hezbollah.

Israele che, tramite il suo premier, ha fatto sapere che la guerra occulta contro la presenza iraniana in Siria non è finita. Una dichiarazione che deve però fare i conti con la nuova realtà data dall’installazione degli S-300 russi a presidio di Damasco.

Mossa che da 30 giorni, nota Debka, ha fermato i raid israeliani. Non è ancora una pace, ma un’oasi di tranquillità che un po’ le somiglia. Per ora il popolo siriano si deve accontentare di questo. In attesa che i tanti nodi del conflitto trovino una risoluzione. Che non può essere militare, ma negoziata.