Siria: la vittoria di Assad e l'ipocrisia dell'Occidente
Tempo di lettura: 3 minutiAssad ha vinto le presidenziali siriane con il 95% dei voti. Vittoria scontata, dato che aveva contro due candidati che non avevano chanche. L’Occidente ha definito tali elezioni non “libere né eque”.
Damasco ostenta dati: l’afflusso alle urne è del 75% degli aventi diritto, che poi è il dato significativo, dato appunto l’esito scontato.
O i Paesi d’Occidente hanno prove che i siriani sono stati costretti a votare, oppure devono prendere atto che hanno scelto liberamente il loro presidente. E di costrizione non si è fatto cenno da parte di tali Cancellerie.
Anche perché resta inspiegabile, anzi più che spiegabile, il perché tali Paesi hanno impedito agli esuli siriani, scampati alla guerra e rifugiati all’estero, di votare nelle ambasciate siriane dei loro Paesi.
Certo, avrebbero potuto addurre come spiegazione di tale diniego possibili brogli. E però, ciò non sarebbe bastato a impedire che il governo di Damasco mostrasse al mondo le file di elettori presso le proprie ambasciate. File di persone che sapevano bene che l’unico vero candidato era Assad, quindi con loro semplice andare alle urne avrebbero avallato la sua vittoria. Tutto ciò senza costrizioni, evidentemente impossibili all’estero.
Le eventuali file di elettori sarebbero state il più grande smacco alla narrazione occidentale riguardo la Siria, e tale eventualità, tanto temuta, ed evidentemente possibile, se non certa, doveva essere evitata a ogni costo: da cui il diniego del voto nelle ambasciate, in violazione evidente con i basilari principi di democrazia che pure tali Paesi brandiscono contro l’asserito dittatore.
Basta vedere ciò che è accaduto in Libano, dove l’ambasciata siriana ha visto migliaia di elettori andare al voto fin dal primo mattino (al Jazeera). Voto evidentemente non costretto, data la libertà che regna nella pur fragile democrazia libanese.
Non solo all’estero, il voto è stato vietato anche nell’area Nord Est della Siria occupata dall’America per mezzo dei suoi ascari locali, i curdi (che a questo è stato ridotto il loro pur bellissimo sogno di autonomia), che hanno impedito ai siriani sotto il loro controllo di recarsi nelle province vicine ed esprimere il proprio voto (al Monitor).
Palese che anche qui si volesse evitare lo smacco di un flusso di votanti a favore di Assad, evidentemente libero, dato che nelle zone sotto il loro controllo non poteva darsi alcuna costrizione.
Certo, c’era un unico candidato, ma era ovvio che così fosse: piaccia o non piaccia, tutti i siriani che vivono nell’area controllata da Damasco sanno che al momento non c’è alternativa.
Assad è l’unico che può tenere unito e in piedi quel che resta della Siria, dopo anni di guerre. Perché oggi, benché in relativa pace, è ancora fatta segno di sanguinari attentati (a proposito di ribelli moderati); stritolata da sanzioni durissime (e non attutite neanche in tempo di Covid-19, a proposito di vittime e carnefici…); bombardata a ciclo continuo da jet israeliani; e, infine, privata del suo petrolio, rubato dagli Stati Uniti d’America (vedi nota 2).
Ma chi ha seguito le vicende di questo martoriato popolo sa bene che le folle festanti che si sono adunate nelle piazze siriane, con video che circolano sul web, sono reali.
Non celebrano Assad, ma la vita che, nonostante tutto, è tornata a qualcosa di simile alla normalità, se normalità può chiamarsi una routine quotidiana stretta dalla povertà, con elettricità e acqua limitate dal furto di petrolio di cui sopra etc.
Poco prima delle elezioni, la Russia ha inviato in Siria tre bombardieri a lungo raggio, quelli destinati a portare testate atomiche. Un’iniziativa che sembrava rispondere al dispiegamento nel Mediterraneo, avvenuto in quei giorni, di una flotta di navi Nato.
Ma sono stati ritirati subito dopo le elezioni. In effetti, non servivano a contrastare un ipotetico intervento in Siria, come paventato, quanto a lanciare un monito a quanti ancora alimentano il regime-change di Damasco (e che probabilmente preparavano qualcosa durante le votazioni) sull’importanza che Mosca attribuisce al suo alleato mediorientale.
(1) L’unico cenno su possibili costrizioni al voto lo fa l’Osservatorio siriano per i diritti umani, sempre più screditato per le palesi bufale che ha propinato e propina per mettere in cattiva luce Damasco e favorire il regime-change.
Interessante come, in una nota, celebri la caccia all’uomo scatenata nella provincia di Idlib – due giorni a setacciare villaggi -, controllata dai terroristi di Hayyaat Tahrir al-Sham (al Qaeda), per arrestare un siriano che aveva inneggiato alla vittoria di Assad…
(2) Il petrolio siriano si trova tutto nel Nord Est, l’area controllata dai curdi. Tali giacimenti, si legge su al Monitor, sono attualmente appannaggio della Delta Energy, società che ha sede nel “Delaware [il paradiso fiscale degli Stati Uniti ndr.] che è stata fondata dal veterano della Delta Force James Reese, dall’ex ambasciatore James Cain e dall’ex dirigente della Gulfsands Petroleum John P. Dorrier Jr., tutti con stretti legami con i repubblicani. In particolare con il senatore repubblicano Lindsey Graham, che ha annunciato per la prima volta nel luglio 2020 che i curdi siriani avevano stretto un accordo con una società statunitense non identificata per “modernizzare i giacimenti petroliferi”.
Graham è un super-falco riguardo la guerra siriana, arrivando a criticare pesantemente anche il “suo” presidente, Donald Trump, quando questi annunciò di voler ritirare i soldati Usa dal Paese. Simpatico quadretto di malfattori che lucrano sulle disgrazie di un popolo.