Gli Usa aggravano le sanzioni contro l'Iran nonostante il virus
Tempo di lettura: 2 minutiMartedì gli Usa hanno ampliato le sanzioni contro l’Iran. Un passo disumano, dato che l’Iran è uno tra i Paesi più flagellati dal coronavirus, che ha colpito più che altrove anche esponenti del Parlamento, del governo e dell’amministrazione statale.
Così il Washington Post: “Non c’è dubbio che le sanzioni statunitensi abbiano ostacolato la risposta dell’Iran al virus. Hanno costretto un governo già precario a cercare risorse e costretto a a evitare l’adozione di misure sociali che danneggerebbero ulteriormente un’economia in caduta libera”.
Tradotto: Teheran, impoverita dalle sanzioni, non può permettersi, come altri Paesi, neanche di chiedere alla gente di restare casa: non saprebbe cosa dargli da mangiare.
“Lo scorso anno”, continua il Wp, “Human Rights Watch ha avvertito che le sanzioni statunitensi contro l’Iran avevano ‘drasticamente limitato la capacità del Paese di acquistare importazioni di generi umanitari, compresi i medicinali, causando gravi disagi ai cittadini iraniani e minando il loro diritto alla salute'”.
Una dinamica ancora più odiosa oggi che il coronavirus imperversa. È la politica della “massima pressione”, bellezza! Propagandata come diretta ad abbattere l’odioso “regime” clericale e così restituire il popolo iraniano alla libertà.
Non è solo una responsabilità di Trump (dettata dalle pressioni dei neocon): nessun politico americano ha elevato la sua voce per protestare contro questa politica disumana, né repubblicani, né democratici (il solo Sanders ha chiesto un alleviamento delle stesse, vedi al Monitor).
Nessuno vuole mettersi contro le potenti lobby internazionali che stanno alimentando una forsennata campagna anti-iraniana.
Le nuove sanzioni hanno colpito diverse società che hanno acquistato petrolio iraniano: un segnale intimidatorio per quanti volessero seguire tale strada in futuro.
Gli iraniani, ovviamente, protestano vibratamente. Non solo, diversi loro esponenti, tra cui l’ayatollah Khamenei, accusano apertamente gli Stati Uniti di aver prodotto il coronavirus per usarlo come arma batteriologica.
Un’accusa che sta circolando anche in ambiti non iraniani, alla quale ha dato voce anche il cardinale di Colombo – Sri Lanka – Malcom Ranjit che reputa sia stato prodotto da una “nazione ricca e potente” (il porporato non è l’ultimo degli sprovveduti, peraltro Benedetto XVI lo ha voluto Segretario della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti).
Un appello della Cina perché gli Usa aboliscano le sanzioni è stato respinto al mittente. Flagellato da sanzioni e virus, per l’Iran si prospetta un’ecatombe. Peraltro, la rigidità americana sta facendo crescere all’interno del Paese i sostenitori di una linea più dura contro gli antagonisti, mettendo in difficoltà l’ala moderata, che fa riferimento al presidente Hassan Rohani.
Ciò accrescerà il pericolo che il confronto con gli Stati Uniti precipiti in una guerra aperta. Esattamente quel che sperano gli ambiti internazionali che da tempo spingono per questa opzione. Il coronavirus ha offerto loro una nuova opportunità.