24 Luglio 2024

Sulla visita di Netanyahu negli Usa

17 alti funzionari della Sicurezza israeliana hanno inviato una missiva alle autorità Usa per metterle in guardia sui rischi della visita di Netanyahu a Washington
Sulla visita di Netanyahu negli Usa
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Prima che Netanyahu sbarcasse negli Stati Uniti per una visita trionfale con annesso discorso al Congresso, 17 alti funzionari della Sicurezza israeliana hanno inviato una missiva alle più importanti autorità statunitensi per metterle in guardia sul pericolo rappresentato dall’attuale premier israeliano, identificato come una “minaccia esistenziale” per lo Stato di Israele.

Tra i firmatari, annota il Jerusalem Post, l’ex direttore del Mossad Tamir Pardo, l’ex capo dell’IDF Dan Haloutz, l’ex capo della Difesa Moshe Ya’alon e l’ex responsabile della Sicurezza Nazionale Uzi Arad (non proprio degli agnellini).

Netanyahu 'existential threat to Israel': Israeli officials tell US Congress Bibi to blame for war

Netanyahu, il pericolo esistenziale

Nella lettera, i firmatari hanno espresso “serie preoccupazioni” in merito alla visita di Benjamin Netanyahu perché rischia di danneggiare gli obiettivi comuni dei due Stati. E annotano che tale viaggio “dà la priorità alla sua sopravvivenza politica rispetto ai nostri interessi comuni” e che è un modo per il premier di “rafforzare la sua coalizione interna”, nulla importando né della sorte degli ostaggi né della fine della guerra, essendo accusato, peraltro, di “sabotare in maniera attiva la possibilità di un qualsiasi accordo sugli ostaggi per impedire il crollo del suo governo”.

Netanyahu actively sabotaging hostage deal, sources say

Netanyahu, come affermano i funzionari nella lettera, “ha la responsabilità della guerra a causa della sua fallimentare valutazione del rischio del confine di Gaza” e ne denuncia il “sostegno alle richieste dei suoi messianici partner politici”. Altre accuse, più specifiche, riguardano gli interna corporis dello Stato di Israele, invero meno interessanti per il resto del mondo (e, ci si permetta di aggiungere, che il premier israeliano è un pericolo ancor più esistenziale per i palestinesi, nonché del mondo intero, che rischia di precipitare nell’abisso).

Quel che importa è, appunto, che alcuni alti gradi dell’esercito e della Sicurezza israeliana hanno tentato di allarmare rispetto all’improvvido invito in America di Netanyahu, che peraltro avviene mentre “l’agonia di Gaza continua”, come da titolo di un articolo di Ishaan Tharoor sul Washington Post, il quale ricorda come siano già stati uccisi 40mila palestinesi e che 21mila bambini risultano dispersi (16mila sono sicuramente morti, registrano le autorità palestinesi).

As Netanyahu addresses Congress, agony in Gaza endures

Nell’articolo, Tharoor riferisce anche che 7 tra i più importanti sindacati americani hanno firmato una lettera aperta indirizzata a Biden perché Washington smetta di inviare armi che consentono a Israele di continuare a uccidere i palestinesi. Iniziativa di certo rilievo questa dei sindacati, perché ci sono le elezioni e la loro protesta non può essere ignorata con eccessiva leggerezza, ma soprattutto perché denota un rigetto della guerra sempre più diffuso in America, e qui più che altrove (non risultano analoghi passi, ad esempio, dei sindacati italiani).

La risposta sproporzionata al drone degli Houti

Non solo la guerra contro i palestinesi a Gaza e in Cisgiordania, i bellicosi guerrieri israeliani rischiano di allargare il conflitto in un modo che non sarà più gestibile, come ha dimostrato il bombardamento del porto di Hodeida, in Yemen, in risposta al drone lanciato su Tel Aviv dalle milizie Houti, che ha causato una vittima.

Attacco “sproporzionato” quello israeliano, come scrive Alon Rosas su Haaretz, che pure giustifica tale sproporzione ignorando che gli Houti potrebbero rispondere in maniera altrettanto sproporzionata. E del tutto inutile, dal momento che non “cambierà le carte in tavola”, come da sottotitolo del suo articolo. L’unico effetto di una reazione tanto sproporzionata è stato quello di dar vita a una nuova escalation che rischia di allargare il conflitto in atto.

Israel's Attack on the Houthis: Justified? Yes. Proportionate? No. Game-changer? Unlikely

L’unico modo per evitare che l’incendio divampi prima o poi, a seguito di questa o di un’ulteriore escalation (che non mancherà), è chiudere la guerra di Gaza, esattamente quel che Netanyahu evita in tutti i modi di fare, come conclude Rosas nel suo articolo.

Sul pericolo di un allargamento del fronte di guerra, appare istruttivo un post su X del ministro della Difesa Yoav Gallant nei confronti del ministro della Sicurezza nazionale, il superfalco terrorista (vedi Haaretz) Itamar Ben-Gvir, il politico attualmente più vicino a Netanyahu e da questi sostenuto per far vedere ai propri interlocutori che, se cade lui, il sostituto sarà ancora più estremo (un trucco che ha sempre usato per tenersi a galla).

Questo il post di Gallant succitato: “Itamar Ben-Gvir cerca costantemente di far saltare in aria il Medio Oriente”. Insomma, Israele è in preda a una follia distruttiva. Ciò rende ancora più sinistro l’intervento di Netanyahu al Congresso americano.

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