Summit Biden-Putin: forse si farà a giugno
Tempo di lettura: 4 minutiPutin ha accettato l’invito di Biden a incontrarsi, come da annuncio ufficiale del Cremlino. Incerta la data e la sede dell’incontro, si sa solo che si farà in un Paese terzo, come ha specificato Biden nel suo invito.
Fonti russe ipotizzano possa svolgersi a giugno. A conferma di questa possibilità quanto scrive il Financial Times: “Biden prevede di recarsi in Europa a giugno per il suo primo viaggio all’estero da quando è in carica, per partecipare al vertice del G7 nel Regno Unito dall’11 al 13 giugno e al vertice della Nato in Belgio il 14 giugno”.
I segnali di Putin
Sarebbe quindi un’occasione propizia per un incontro tra i due presidenti. Nel dare la notizia, il FT accenna ad alcuni gesti di distensione da parte della Russia che ne indicano la buona volontà, in particolare il ritiro delle truppe dai confini dell’Ucraina e l’accoglienza della richiesta dei medici di Navalny di poter visitare il loro assistito, provato da uno sciopero della fame.
Né va dimenticato il vertice sul clima, nel quale i due presidenti hanno potuto dialogare a distanza.
Anche Trump provò in tutti i modi ad allacciare un rapporto con Mosca, ma non gli fu consentito. Le sue aperture erano puntualmente massacrate dai media mainstream, oggi silenziosi sulle analoghe aperture di Biden.
Ovviamente non c’è da aspettarsi che un vertice cambi le regole del gioco del mondo, che poi di regole ne ha ben poche. Né cambierà di certo la dura contrapposizione tra Est e Ovest brandita da anni come dogma irrevocabile.
E, però, può aiutare ugualmente: prima di ritirare le truppe dall’Ucraina, Putin ha avvertito l’Occidente a non superare quelle che Mosca considera linee rosse. Per rimarcarlo, evidentemente non son tanto chiare come lo erano un tempo.
Non ci sono più le linee rosse di una volta…
Già, perché al tempo della Guerra Fredda tali linee erano chiare, definite (a Yalta), e inviolabili, sia per l’Est che per l’Ovest. E così Mosca non doveva invadere l’Europa occidentale né l’Occidente doveva violare i Paesi est europei.
Crollato quell’equilibrio, la sfera di influenza occidentale si è allargata nell’Est Europa, come dimostra i caso ucraino, ma Mosca non può accettare che si vada oltre: il Donbass, la Crimea e la Bielorussia devono restare nell’orbita di influenza di Mosca.
Da questo punto di vista è indicativo che, nel suo discorso, Putin abbia lamentato il tentato golpe il Bielorussia di alcuni giorni fa, sventato dall’intelligence bielorussa e moscovita, che secondo i russi sarebbe stato organizzato dalla Cia (attirando ovvie smentite).
Ma è solo un esempio dei vari contenziosi in essere: se la Russia accetta che l’80% dei Paesi del mondo ospitino truppe Usa, non accetta tale presenza in alcuni Paesi, già alleati dell’Unione sovietica e ancora in rapporti con Mosca.
In alcuni casi, vedi Venezuela e Siria, lo ha fatto chiaramente capire sostenendoli direttamente in contrasto con manovre e pressioni Usa.
Non solo i contenziosi ereditati dalla vecchia sfera di influenza sovietica (altri esempi: Serbia e Angola), il mondo moderno ne ha aperti altri, altrettanto pericolosi perché non c’è mai stata una chiara demarcazione in proposito.
I nuovi contenziosi
Il primo e sensibile per Mosca, è l’Artico, continente che sta diventando sempre più importante e sul quale la Russia sta lavorando da tempo, aprendo nuove rotte tra i ghiacci in via di scioglimento e nuove opportunità di sfruttamento.
Allo scopo serve energia, da cui la costruzione di una centrale atomica galleggiante, mostro che indica il livello di interesse di Mosca per il continente.
L’America, impegnata nelle sue guerre infinite, ha scoperto l’Artico solo negli ultimi anni, iniziando la rincorsa di Mosca anzitutto a livello militare, potenziando vecchie basi o realizzandone di nuove a ridosso dei suoi ghiacci. Ma senza linee rosse i rischi di incidenti sono alti.
C’è poi lo spazio, sul quale si è proiettata l’amministrazione Trump con la creazione della Space Force, che Biden ha conservato, uno dei primi atti della sua amministrazione.
Anche per lo spazio, dove “nessuno può sentirti urlare”, urge un negoziato: vecchi trattati stabilivano la sua non militarizzazione, cosa ovviamente disattesa. E la Russia ha iniziato la sua corsa collegandosi alla Cina (servono tanti soldi, e Pechino li ha), con la quale realizzerà una base lunare.
Anche lì servirà prima o poi stabilire regole, onde evitare incidenti spaziali con disastrose ricadute terrestri. Come regole e linee rosse vanno stabilite in un altro spazio, quello virtuale, meno esteso, ma non per questo meno pericoloso.
Il ridimensionamento dell’Impero d’Occidente
Insomma, c’è tanto da stabilire per raddrizzare l’attuale squilibrio mondiale, eredità della fine della Guerra Fredda e della pretesa Usa di un’egemonia globale.
E per riequilibrare servono negoziati, e perché questi abbiano successo serve che la pretesa egemonica Usa sia ricacciata nel dimenticatoio della storia, com’è giusto che sia. Tanti in America sanno che il progetto non solo è fallito, ma se perpetuato rischia di far collassare anche l’Impero centrale.
Ma tanti non si rassegano ad ammainare la bandiera. Biden stesso blandisce tali ambiti, ancora troppo potenti per essere contraddetti. Ma, allo stesso tempo, sta lavorando a un disimpegno degli Usa nel mondo, come evidenziano il ritiro dall’Afghanistan e il dialogo con l’Iran.
Non un ritiro totale, come sognava Trump, ma un ridimensionamento che conservi agli Usa la primazia globale. Conversione difficile e, per riuscire, servono sponde esterne. Per sostenere le pressioni dei nostalgici del Gendarme globale a Biden servono Putin e Xi Jinping.