Suu Kyi, gli interessi dell'Occidente e la pulizia etnica dei musulmani in Birmania
Tempo di lettura: 2 minuti«Per oltre vent’anni Aung Suu Kyi ha tenuto testa a una dittatura militare, un coraggio che le è valso il premio nobel per la pace e un’aura di Gandhi moderna. Ma di fronte ad almeno 78 morti, oltre 300 mila sfollati e un’aria di pulizia etnica contro le minoranze musulmane dei Rohingya nelle peggiori violenze settarie da decenni in Birmania la neodeputrata Suu Kyi non ha niente da dire.
Parole ambigue solo se interrogata sul tema, dando la sensazione di volersene lavare le mani. Una posizione che lascia basiti i suoi sostenitori stranieri». Così sulla Stampa del 20 agosto, in un articolo dedicato alle violenze scatenate dai fondamentalisti buddisti in Birmania contro i musulmani di etnia Rohingya, coniderati dall’Onu una delle «minoranze tra le più discriminate del mondo».
Prosegue l’articolo: «Le forze di sicurezza hanno spesso tollerato – o partecipato accusano le organizzazioni dei diritti umani – la caccia ai Rohingya dei buddisti. Su internet diversi birmani incitavano al “massacro dei terroristi”, “animali”, o quantomeno ricacciarli tutti (almeno 800 mila persone private di vari diritti tra cui quello della cittadinanza) in Bangladesh».
Il problema, secondo l’articolo, è che Suu Kyi (che tra l’altro ha chiesto una legge in favore delle minoranze con esclusione dei Rohingya) si trova in un posizione scomoda: la sua «ambiguità rischia di gettare un’ombra sulla sua immagine di santa all’estero, ma un’eventuale presa di posizione a favore dei Rohingya andrebbe contro l’ostilità compatta dei birmani verso questa minoranza non assimilabile (…).
Il tacito assenso di Suu Kyi per lo status quo non scontenta di certo l’Occidente, ansioso di tornare a investire nella “nuova Birmania” non più governata da una giunta militare con cui fare affari era moralmente sbagliato, per gli Stati Uniti, mettere piede nel Paese ha, inoltre, una funzione strategica anti-cinese. Ci guadagna anche il governo degli ex generali, una volta odiati dai birmani e ora rilanciati come protettori della patria di fronte agli invasori musulmani. Per il presidente Thein Sein la soluzione migliore sarebbe che i Paesi occidentali si prendessero tutti i Rohingya. Chi ci perde, ancora una volta sono loro».