La telefonata Putin-Trump e le bombe su Gaza

Netanyahu rilancia e il genocidio di Gaza ricomincia: 400 i morti in un attacco che supera per brutalità molti di quelli che hanno preceduto la tregua. Non solo si voleva riprendere l’aggressione, ma si voleva scioccare i palestinesi e il mondo, tale la spiegazione dell’intensità degli attacchi.
Netanyahu ha motivato l’azione come dettata dalla necessità di forzare Hamas a rilasciare gli ostaggi. Sa perfettamente, ma non gli importa, che invece sta facendo l’esatto contrario, mettendoli ulteriormente a rischio, come ha dichiarato Hamas e come hanno urlato, disperati, i parenti degli ostaggi medesimi.
Ma l’importanza dell’attacco risiede in altro, cioè nella tempistica. Quando le bombe hanno squassato Gaza, uccidendo per lo più persone e bambini indifesi già stretti dalla fame e dalla sete a causa del blocco della Striscia, il mondo era in attesa della telefonata tra Putin e Trump per avviare un serio processo di pace per l’Ucraina.
Questioni di tempistica
Tempistica non casuale: bombardando Gaza si voleva porre criticità alla conversazione tra i due presidenti e al processo di distensione; se possibile, anche se la possibilità era remota, farla saltare.
Putin, infatti, che sostiene le ragioni dell’Iran e della Palestina e dei loro alleati regionali, è stato messo in imbarazzo, costretto ad accordarsi con la persona a cui è attribuita la ripresa del genocidio dei palestinesi, avendo i media riferito che l’America ha dato luce verde alle bombe.
Placet vero o asserito che sia (probabile che sia sia ripetuto quanto accaduto nel caso dell’omicidio del generale Qassem Soleimani, che Trump ha subito e non ordinato, vedi Piccolenote) resta alla cronaca che la luce verde è arrivata da Washington: se da altri della sua amministrazione, che non può smentire, o dal presidente perché piegato da indebite pressioni ha poca importanza per quanto riguarda i fatti (nella nota di ieri, peraltro, segnalavamo il rinnovato attivismo dei falchi pro-Israele). Non si tratta di trovare giustificazioni a Trump, che non ne ha, solo portare alla luce le dinamiche che stanno dietro il teatrino del mondo.
Peraltro, al di là che la telefonata fosse saltata o meno – e Putin non poteva permettersi di farla saltare perché si sarebbero aperte le porte della terza guerra mondiale – i bombardamenti hanno ottenuto lo stesso il loro scopo: sia ponendo criticità nei rapporti tra Putin e i suoi alleati mediorientali, che si vedono in tal modo più isolati rispetto alla brutalità di Tel Aviv e Washington (e suoi alleati europei), sia soprattutto scatenando nuove spinte destabilizzanti nel mondo.
Infatti, e più in generale, in apparenza la guerra che Tel Aviv ha scatenato per realizzare la Grande Israele (Gaza, Hezbollah etc.) non sembra aver nulla a che fare con la guerra ucraina, ma così non è. Il partito della guerra globale preme sia per l’una che per l’altra, anzi perché l’una e l’altra si dilatino sia nel tempo che nello spazio. Tale la cornice generale che sottende e sovrasta le tante differenze, che pure stanno, tra i due conflitti.
Il fatto che le élite imperiali – e loro pendant nelle colonie europee – che sostengono le ragioni di entrambe le guerre coincidano non è certo casuale. Neocon come l’ex consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, per dirne uno, e liberal come il potente senatore democratico Chuck Schumer, per dirne un altro, e i loro tanti e potenti sodali hanno spinto sia per la prosecuzione ad oltranza del conflitto ucraino che per dar seguito al genocidio palestinese e all’espansionismo israeliano (Netanyahu, va ricordato, ha un filo diretto con gli ambiti neocon).
Così nel giorno in cui la telefonata tra Putin e Trump poteva segnare una svolta, ponendo le basi per chiudere un capitolo delle guerre senza fine e portando un po’ di stabilità nel mondo, il partito delle guerre infinite ha rilanciato la sua sanguinaria sfida nel modo più scioccante possibile, alimentando alla sua maniera il caos globale.