Torna la lagna degli hacker russi, stavolta sul vaccino Covid-19
Tempo di lettura: 3 minutiI servizi segreti di Usa, Canada e Gran Bretagna hanno accusato gli hackers russi di essersi intrufolati nei computer di diversi laboratori per rubare i segreti del vaccino del coronavirus.
La storia dei fantomatici “hackers russi” è diventato un topos negli ultimi anni, da quando avrebbero imperversato nelle presidenziali americane per far eleggere Trump, accusa svaporata successivamente.
I soliti sospetti
Stavolta tali hackers non avrebbero fatto danni, ma solo rubato dati. Buffo che nei giorni che hanno preceduto questa accusa i media russi avessero annunciato di aver fatto grandi progressi sul vaccino.
Anzi Russia Today titolava: “Mentre il vaccino Covid-19 entra nella fase finale dei test, la Russia potrebbe essere il primo paese al mondo a realizzare un programma di immunizzazione di massa”.
Mosca ha iniziato le ricerche sul vaccino da tempo, in parallelo col resto del mondo: tanto che già ad aprile aveva sviluppato nove possibili vaccini.
D’altronde la Russia ha un buon background nel settore, dato che la Guerra Fredda aveva portato le due superpotenze a una competizione serrata anche nel campo della ricerca sulle armi batteriologiche.
Così l’accusa di ieri, respinta al mittente dalla Russia, sembra piuttosto nascere dalla paura che l’annuncio russo si avveri, cioè che arrivino prima degli altri al vaccino: sarebbe uno scacco di dimensioni epocali per certi ambiti atlantisti che vedono nella Russia un concorrente geopolitico da incenerire.
Da qui la necessità di sminuire e sporcare l’eventuale successo russo, in realtà percepito più che reale, dato che la corsa sarà probabilmente vinta dall’Occidente (quello di Oxford sembra il più promettente).
Il “quasi” salvifico
Detto questo, resta che ai titoli sparati sulle responsabilità dei russi corrisponde la solita incertezza del caso. Così la Bbc: “Il National Cyber Security Centre (NCSC) del Regno Unito ha affermato che gli hackers ‘quasi certamente’ lavoravano per conto dei servizi di intelligence russi'”. Dove quel “quasi” rivela la mancanza di prove…
Bizzarro che la lagna dell’hackeraggio dei russi sul coronavirus giunga in concomitanza con un’altra accusa similare: nella stessa giornata, infatti, il ministro degli Esteri britannico Dominic Raab ha denunciato che i russi avrebbero interferito nelle elezioni britanniche del 2019.
Insomma, la malvagia influenza russa sull’Occidente torna in tutta la sua prepotenza… Ironico che anche Raab abbia detto che le responsabilità dei russi sono “quasi” certe (Bbc). Sempre quel “quasi”…. topos rispettato alla virgola: serve anche a evitare, in caso di smentite evidenti, l’accusa di aver mentito al mondo.
Peraltro l’accusa di interferenza elettorale di Raab arriva in concomitanza con la de-classificazione di alcuni documenti segreti americani che provano oltre ogni ragionevole dubbio che le famose interferenze russe nelle elezioni Usa del 2016, propagandate per vere per anni, erano una bufala.
Così le dichiarazioni di Raab servono anche a coprire le rivelazioni provenienti dagli Usa e a rilanciare la possibilità della bufala in questione. Peraltro rilanciata nelle stesse ore anche dal candidato democratico Joe Biden, il quale ha dichiarato di aver ricevuto informazioni dall’intelligence Usa su possibili interferenze russe sulle prossime elezioni di novembre (The Hill).
Manipolare e dividere
Al di là delle boutade ricorrenti e convergenti, la controversia sull’hackeraggio dei russi sui vaccini nasconde una tragedia reale, cioè che il mondo ha affrontato il coronavirus in ordine sparso. Ognuno cerca il “suo” vaccino, mentre il comune nemico avrebbe richiesto una convergenza globale.
I cinesi erano stati i più fervidi sostenitori di tale idea, delineando un parallelo convincente: come nella Seconda guerra mondiale l’Occidente fece fronte comune con Stalin nonostante le divergenze, anche l’emergenza coronavirus avrebbe dovuto spingere l’Ovest ad accantonare le diffidenze nei confronti dell’Est per vincere la sfida nel più breve tempo possibile, salvando così vite e destini (vedi Piccolenote).
Gli Stati Uniti hanno ignorato gli appelli ripetuti, preferendo invece imboccare la strada della competizione, utilizzando anzi il coronavirus per randellare la Cina, aggiungendo l’arma del “virus cinese” al variegato arsenale propagandistico contro l’antagonista globale (vedi nota precedente).
Così il coronavirus, nelle mani di certa propaganda, è diventato un’arma di distruzione di massa contro Pechino e i Paesi che hanno legami non conflittuali con essa, che tale propaganda mira a far recedere.
Infine, riguardo agli hackers, è palese che chi fa queste cose sa bene come confondere e manipolare: con i computer si può far tutto, anche far apparire russo un eschimese.
Basti ricordare che Wikileaks rivelò un “gran numero di tecniche che consentono alla Cia di mascherare l’origine dei suoi attacchi e confondere gli investigatori” (New York Times).
Resta così la propaganda, che segnala un mondo sempre più diviso. Da registrare, infine, che l’economia cinese ha ripreso a correre mentre l’Occidente è ancora alle prese con la crisi conseguente al virus.
Potrebbe essere un’opportunità: la crisi dei subprime fu risolta grazie al volano cinese. La logica del confronto lo impedirà, anzi tale ripresa è vista come una nuova minaccia all’egemonia globale Usa e acuirà le pressioni contro Pechino, impoverendo ancora di più il mondo.