Il tour di Gantz per cercare un'exit strategy dalla guerra
Dopo la tappa a Washington, Benny Gantz è volato a Londra per incontrare il ministro degli Esteri David Cameron. Il viaggio del membro del gabinetto di guerra israeliano non è stato coordinato con il premier Netanyahu, una vera e propria rottura. A Washington ha incontrato la vicepresidente Kamala Harris e il Consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan (che riferirà a Biden), ma di quel che si sono detti si sa poco, al di là dei report di circostanza.
Gantz in cerca di appoggi internazionali
Biden vuole uscire dalla guerra di Gaza e, non volendo violare la sua incrollabile prossimità a Israele, non ha alcuna leva per piegare il più incrollabile Netanyahu.
Così Gantz è la pedina più importante che può giocare, con questi allineato con Washington perché sa perfettamente che la mattanza di Gaza e la durissima repressione in Cisgiordania stanno distruggendo Israele (vedi Foreign Affairs, “L’autodistruzione di Israele”, di Aluf Benn).
Gantz, leader del partito Unità nazionale, è popolare in patria e potrebbe riuscire a rovesciare o quantomeno a influenzare il governo, chiudendo le ostilità con un accordo pace in cambio degli ostaggi, come da dichiarazioni del suo alleato Gadi Eisenkot. Ed è ovvio che lo scopo, chiaramente non dichiarato, di questo tour sia proprio quello di cercare un appoggio internazionale in tal senso.
Il tempo si è fatto breve
La tempistica urge: a breve inizia il Ramadan e la rabbia islamica, finora trattenuta, potrebbe tracimare, anche al di là dei confini israelo-palestinesi. Come urge a Biden placare la rabbia dei suoi elettori, che nelle primarie del Michigan gli hanno mandato un avvertimento nella forma di una campagna per votare democratico, ma non lui.
Una scelta “disimpegnata” che nelle intenzioni dei suoi promotori doveva arrivare a raccogliere 10mila voti, cioè lo scarto con cui il partito democratico si era imposto sui repubblicani nelle scorse elezioni di quello Stato, ha invece raccolto 100mila consensi, il 13% del totale dei votanti.
Allarme rosso alla Casa Bianca, tanto che, come spiega il New York Times, alla Harris è stato dato il compito di inviare messaggi in controtendenza per placare il dissenso, da cui il suo appello a un “cessate il fuoco immediato” e altro. Ma gli attivisti non hanno l’anello al naso e, per bocca di Layla Elabed, promotrice della campagna del voto disimpegnato, hanno bollato la dichiarazione come pura retorica e senza reali prospettive.
Così la Elabed: “Siamo chiari: si è chiesto un cessate il fuoco temporaneo o quella che chiamano pausa umanitaria. Le richieste del nostro movimento sono state chiare: un cessate il fuoco duraturo e la fine dei finanziamenti statunitensi per la guerra e l’occupazione di Israele contro il popolo palestinese”.
Così riprendiamo da Haaretz quanto scrive David Rothkopf: “Ogni misura intermedia verso la fine della guerra a Gaza porta con sé altre vittime. Ogni esitazione politica, ogni aggiustamento incrementale, ogni riposizionamento retorico che non fermi le uccisioni e le sofferenze è troppo poco e troppo tardi. Qualunque cosa facciamo ora, infatti, è troppo poco e troppo tardi”.
Quindi, la constatazione che l’America ha commesso un “terribile errore”, infatti “era chiaro fin dall’inizio che un assegno in bianco avrebbe consentito a Netanyahu, Ben-Gvir, Smotrich [leader dei partiti di ultradestra ndr] e i loro compagni criminali di portare avanti le proprie agende politiche personali e gli obiettivi della loro base nazionalista” a discapito degli interessi israeliani e americani (di cui al momento importa nulla), ma soprattutto dei “palestinesi innocenti”, precipitati “nell’incubo di una vendetta amorale”.
La criminale esitazione della Casa Bianca
Era chiaro, continua Rothkopf, fin dall’inizio dell’invasione di Gaza ed è stato sempre più chiaro nel corso del massacro, con la Casa Bianca tentennante mentre la situazione peggiorava di giorno in giorno, fino ad arrivare all’atroce decisione di affamare la Striscia, che “attualmente si stima che stia mettendo a rischio il 25% della popolazione di Gaza, oltre 500.000 anime”.
“[…] Biden non avrebbe mai dovuto dire che gli aiuti statunitensi a Israele erano incondizionati. Mentre il bilancio delle vittime innocenti delle operazioni israeliane a Gaza diventava rapidamente e intollerabilmente alto, gli Stati Uniti avrebbero dovuto frenare bruscamente, condannare pubblicamente (piuttosto che difendere) le azioni di Israele, fermare gli aiuti militari a Israele, chiedere un cessate il fuoco, sostenere gli sforzi per un cessate il fuoco nelle istituzioni internazionali”.
“[…] Misure intermedie come sanzionare i coloni della Cisgiordania [peraltro solo qualcuno ndr] appaiono impotenti. Consegnare qualche decina di migliaia di pasti agli abitanti di Gaza, data la portata della crisi che si sta affrontando, è poco più che un gesto” teatrale.
Allo stesso tempo, la resistenza del premier israeliano alla moral suasion americana e la sua feroce determinazione ha fatto infuriare l’alleato d’oltreoceano, tanto che, annota Rothkopf, ora “gli Stati Uniti sono disgustati dal comportamento di Netanyahu”.
Vedremo se la manovra accerchiante di Gantz andrà in porto, tante le difficoltà e le insidie. Intanto la macelleria di Gaza vede oltre 30mila vittime, di cui 13mila bambini, e 72mila feriti, tanti dei quali bambini. E, a parte le usuali uccisioni non mirate, si registra un ulteriore attacco a una folla di palestinesi accalcata attorno a un camion di aiuti alimentari (video di al Jazeera). La reiterazione della strage della farina getta ulteriore luce su quella e appare non casuale.