22 Novembre 2021

Trenta membri del Congresso a Biden: gli Usa via dalla Siria

Trenta membri del Congresso a Biden: gli Usa via dalla Siria
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“L’amministrazione Biden deve rispondere a queste domande urgenti sul perché e sotto quale autorità l’esercito americano sta combattendo in Siria, qual è la missione e se quella missione è in linea con gli interessi americani”. Così Marcus Stanley, Advocacy Director del Quincy Institute for Responsible Statecraft.

Una dichiarazione che giunge nel giorno in cui 30 membri del Congresso americano hanno scritto una missiva a Biden nella quale chiedono a che titolo l’esercito Usa conduce azioni di guerra in Siria e Iraq. “Il popolo americano – si legge nella missiva – è stanco dell’infinito coinvolgimento militare degli Stati Uniti nelle guerre d’oltremare”.

“È imperativo che il Congresso e i suoi membri, in quanto rappresentanti del popolo americano, esercitino i poteri di guerra garantiti dalla costituzione per supervisionare e autorizzare qualsiasi azione militare all’estero”.

Via dalla Siria

Finalmente, qualcosa si muove, dopo anni di stallo, che vedono l’esercito Usa occupare de facto un terzo della Siria e conservare anche in Iraq una presenza più che invasiva, di fatto una forza d’occupazione, anche qui nonostante il voto del Parlamento iracheno che ne chiedeva il ritiro.

Tale occupazione ha avuto, e ha, una legittimazione del tutto fittizia, cioè la lotta al Terrore, nonostante sia ormai storia che il Terrore si sia oltremodo alimentato grazie all’intervento americano in Iraq – come ha certificato una volta per tutte la Commissione d’inchiesta britannica Chilcot.

Di interesse annotare come anche un media conservatore come il Washington Examiner ospiti una nota nella quale chiede il ritiro dalla Siria, in un articola che spiega come la legittimazione della lotta al Terrore non ha più alcun senso, dal momento che l’Isis non controlla più alcun territorio, ma sopravviva come cellule che operano in clandestinità, contro le quali si stanno muovendo con efficacia gli attori locali (la nota cita solo russi, siriani, iracheni e milizie curde, ma i più formidabili nemici dell’Isis sono i miliziani sciiti).

Non solo il ritiro dalla Siria, Giordio Cafiero, su Responsible Statecraft, spiega come le nazioni arabe si stiamo muovendo per riallacciare i rapporti con Bashar al Assad. A tale proposito cita il viaggio del ministro degli Esteri degli Emirati Arabi a Damasco, spiegando che tale Paese si è impegnato più di altri a far uscire Damasco dallo status di paria internazionale.

“Questo è nell’interesse di tutte le nazioni della regione. L’Iran non solo accoglie con favore questo processo, ma fa anche ogni sforzo per accelerarlo affinché i paesi arabi e siriani riprendano le loro relazioni”, ha, peraltro, affermato Saeed Khatibzadeh, portavoce del ministero degli Esteri iraniano.

Una lettera e qualche articolo di giornale non riusciranno certo a far invertire la rotta, ma il fatto che almeno qualcuno in America metta a tema il ritiro dal Medio oriente è una novità, dopo i tentativi falliti in tal senso da Trump, che più volta ha provato a ritirarsi dalla Siria, dovendo poi cedere alle pressioni contrarie.

L’esercito Usa a difesa degli oppressori

Una presenza sempre più ingiustificata e sempre più inaccettabile, ma dalla quale il Pentagono non vuol recedere. Di interesse, sul tema, un articolo di Doug Barrow su Antiwar, nel quale l’ex consigliere speciale di Ronald Reagan (non certo un estremista comunista) ha criticato aspramente il recente intervento del Segretario della Difesa Usa Lloyd Austin a un forum sulla sicurezza tenutosi in Bahrain, uno dei regimi più oppressivi del Golfo (ma le cui magagne restano nascoste perché è alleato con gli Stati Uniti).

In particolare, Barrow ironizza sul passaggio dell’intervento di Loyd nel quale questi accennava alla geometrica potenza prodotta dell’alleanza tra Paesi arabi e Stati Uniti, dato che sono stati incapaci di piegare l’Iran, nonostante decenni di sanzioni terribili che ne hanno falcidiato l’economia, e stanno perdendo contro i ribelli yemeniti, nonostante lo Yemen sia uno dei Paesi più poveri del mondo.

“Altrettanto ridicolo – prosegue Barrow – è stato il consiglio di Austin ai partecipanti: ‘Ho imparato che possiamo fare molto di più quando siamo uniti rispetto a quando ci lasciamo dividere’. Così ha detto l’uomo che sovrintende a un esercito che è stato responsabile della distruzione di diversi paesi e della morte di centinaia di migliaia di civili musulmani grazie alle molteplici guerre degli ultimi due decenni. ‘Stare insieme’ non sembra descrivere adeguatamente la politica degli Stati Uniti in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e Yemen – debacle dopo debacle”.

“Tuttavia, gli americani continuano a lavorare con questi e altri regimi oppressori, molti dei quali affidano tutto il ‘lavoro sporco’ agli stranieri. Dopotutto, chi vorrebbe morire per proteggere i propri corrotti governanti? Eppure il personale militare statunitense è bloccato a fare proprio questo. In questo caso fungono da guardie del corpo per delle élite regali che regnano su cittadini che si rifiutano di combattere” per loro.

Cenni a effetto, che riferiamo per sottolineare il realismo e l’opportunità della missiva inviata a Biden dai membri del governo. Il presidente ha bisogno di tali sollecitazioni, dato che vuol porre termine alle guerre infinite. Non può riuscire da solo: nonostante l’apparente potere che gli è conferito, l’apparato militar-industriale e gli interessi in gioco sono fortissimi.