Trump-Biden: caos e suprematismo Usa
Tempo di lettura: 3 minutiIl primo dibattito televisivo tra Joe Biden e Donald Trump è andato secondo le previsioni: i due candidati hanno dato vita a un duello rusticano senza precedenti nella storia americana, prodotto di una contesa elettorale accesa come non mai, data l’importanza della posta in ballo.
Trump sapeva che il dibattito con Biden era un’occasione propizia per sfoggiare la sua verve e mettere in crisi un avversario che è diventato tale solo per i veti incrociati, avendo l’establishement del partito affondato la candidatura di Bernie Sanders e avendo quest’ultimo sbarrato la strada ai vari candidati d’apparato.
Biden è politico di lungo corso, ma la sua lunga navigazione politica sottotraccia, la sua moderazione e l’età avanzata lo rendono alquanto diafano, incapace di suscitare empatia e riscaldare gli animi.
Tanto che i democratici avevano evitato di mostrarlo al pubblico durante questa travagliata campagna elettorale, alla quale sono riusciti a dare forma di referendum, cioè una scelta pro o contro Trump.
Il diafano Biden e l’aggressivo Trump
Costretto a venire allo scoperto a motivo del dibattito, Biden è risultato incapace di contenere il fiume in piena con il quale si confrontava.
Se non ne è uscito affondato è solo per la sua esperienza, per l’invisibile ma efficace aiutino del conduttore scelto per moderare e per l’eccessiva foga di Trump, così impegnato a tentare di distruggere l’avversario da dimenticarsi del senso del limite.
Ma soprattutto perché il caos risultante ha reso tutto confuso, mettendo in evidenza peraltro tutta la degenerazione della politica americana, ormai sotto gli occhi di tutti.
Uno spettacolo deprimente usato dai democratici per chiedere nuove regole per il prossimo dibattito (il secondo di tre), nel tentativo di evitare un confronto serrato Biden-Trump che temono perdente.
Ma il caos è stato anche occasione per loro di riproporre la richiesta di abolire del tutto i dibattiti, idea già propugnata da tanti, tra cui lo speaker della Camera Nancy Pelosi.
Trump, che sperava in un trionfo facile nel faccia a faccia, come da destino manifesto, deve essere rimasto interdetto dall’esito inconcludente.
Evidentemente i suoi strateghi non sono stati all’altezza: azzannare al collo il suo avversario era sì esercizio facile, ma non per questo vincente. La sua eccessiva aggressività ha disturbato gli incerti, più che convinto.
Così il risultato politico del duello è stato di fatto nullo: l’accesa polarizzazione dell’elettorato impedisce passaggi da un campo all’altro e gli indecisi sono rimasti più o meno tali.
Ma al di là degli esiti, è di interesse registrare che la narrazione mediatica successiva, al di là della controversia sui prossimi dibattiti, si è concentrata su un particolare.
Nel dibattito Trump non avrebbe condannato i suprematisti bianchi, in particolare si sarebbe astenuto dal condannare il gruppo di destra denominato Proud Boys, menzionato specificamente da Biden.
La controversia sull’ambiguità di Trump verso il suprematismo bianco è datata: da tempo, infatti, i democratici accusano il presidente di essere un fautore di tale deriva, tanto da averne fatto un punto centrale della campagna elettorale grazie al movimento anti-razzista guidato dai Black Lives Matter.
I sostenitori di Trump affermano ovviamente che invece tale condanna c’è stata e più volte (vedi ad esempio Factcheck.org), ma entrare nella controversia è del tutto inutile, dato che è parte integrante di una campagna elettorale feroce, dove i fatti contano nulla.
I neo-nazisti ucraini e l’eccezionalismo Usa
È invece interessante registrare come l’accusa contro Trump sia dilagata sui media nazionali e internazionali, tanti dei quali, appunto, hanno registrato con orrore la mancata condanna.
Lo sottolineiamo per tornare a un recente passato, quando gruppi di destra ben più pericolosi, cioè neonazisti, e ben più pesantemente armati, hanno dato l’assalto al potere in Ucraina.
Nulla di nascosto, dato che i loro stendardi garrivano al vento e i loro feroci scherani erano in prima fila negli scontri di piazza Maidan.
Allora nessun orrore sui media, né i democratici, in testa Obama e Biden – allora rispettivamente presidente e vice-presidente Usa -, hanno mai minimamente criticato tali improbabili alfieri della libertà occidentale.
Peraltro, a proposito di suprematisti, si può notare certa assonanza tra suprematismo ed eccezionalismo americano, idea quest’ultima che permea la politica Usa e i suoi apparati e che vuole che gli Stati Uniti siano il naturale e provvidenziale Paese leader del mondo, avendo il destino assegnato alle altre nazioni, non si sa perché, un ruolo subalterno.
Ebbene, l’eccezionalismo americano non è ascrivibile solo all’America First di Trump. Anzi, tale stendardo ruggisce molto più tra le fila dei suoi antagonisti, che rimproverano al presidente la colpa gravissima di voler ritirare l’America dal teatro del mondo in nome di un nuovo isolazionismo.
Così il suprematismo proprio della politica estera di Trump, in fondo, è meno pericoloso di quello proposto dai suoi antagonisti, dato che il primo vorrebbe svestire gli Usa dai panni del gendarme globale, ruolo al quale vogliono invece ritornare i suoi avversari e che troppo spesso si dispiega, come dimostra la storia recente, a suon di bombe.
Tali l’eccezionalismo e il suprematismo americano, tale la contesa di fondo che si sta giocando nel cuore dell’Impero d’Occidente.