Trump, Netanyahu e il conflitto mediorientale
Se appare scontato che Trump cercherà di trovare una soluzione al conflitto ucraino, con esiti tutti da verificare, tanti ritengono che i suoi consolidati rapporti con Netanyahu daranno a quest’ultimo piena libertà di azione in Medio oriente. Al di là delle elusioni insite in quest’ultimo rilievo, dal momento che di tale libertà di azione ha goduto finora usando dell’assegno in bianco rilasciato dall’amministrazione Biden e dalla debolezza del vecchio presidente, riportiamo il contenuto di una nota dell’agenzia Newarab.
Le guerre mediorientali e il voto degli arabi americani per Trump
“I libanesi americani hanno votato Trump perché ha promesso di riportare la pace in Libano e perché Biden ‘è rimasto a guardare l’uccisione di bambini a Gaza e in Libano'”. Così Nabih Berri, leader di Amal, l’ala politica di Hezbollah e presidente del parlamento libanese, figura autorevole incaricata dal movimento sciita di mediare per suo conto.
Berri racconta anche che Trump, visitando un noto ristorante del Michigan, Stato dove la comunità araba è più forte e dove ha vinto, si è impegnato per scritto in tal senso su sollecitazione del proprietario del locale. Particolare folcloristico, certo, e forse limitato al momento elettorale, ma il fatto che Berri lo ricordi è degno di rilievo.
Così torniamo alla guerra mediorientale. Nonostante la vulgata della sua bromance con il premier israeliano, iniziano a levarsi voci contrastanti.
Come quella di Nadav Tamir, su Haaretz, secondo il quale è “probabile che Netanyahu trovi Trump molto più severo per quanto riguarda la politica estera [rispetto a Biden ndr]. Se Netanyahu non si impegnerà in fretta a porre fine al conflitto di Gaza, con o senza la liberazione degli ostaggi, scoprirà che Trump potrebbe mettersi contro di lui molto velocemente”, ricordando come, dopo il 7 ottobre, Trump disse “ai suoi collaboratori che sperava che Netanyahu, che considerava un fallito, non sarebbe rimasto primo ministro se fosse tornato alla presidenza”.
“Trump parla agli ebrei ortodossi come se fosse amico di Netanyahu – prosegue Tamir – ma dice il contrario agli arabi del Michigan quando gli serve. È imprevedibile e Netanyahu, se non agisce come Trump si aspetta, pagherà il peso di questa impulsività”.
Considerazioni analoghe sono state fatte dall’ex ambasciatore israeliano a Washington Alon Pinkas alla CNN: quando si insedierà, “Trump non vorrà che queste guerre ‘stiano sulla sua scrivania come un problema scottante […] dirà: concludiamole, non ne ho bisogno’. Probabilmente Trump chiederà al primo ministro israeliano di ‘annunciare la vittoria’ per raggiungere un accordo tramite mediatori”.
Un’analoga opinione si legge in un articolo di David Ignatius, una delle penne più autorevoli del Washington Post, che scrive: “I giornali israeliani affermano che Trump ha detto esplicitamente a Netanyahu la scorsa estate che vuole che la guerra finisca entro il giorno del suo insediamento” alla Casa Bianca (20 gennaio).
Quindi, dopo aver accennato ai successi, veri o presunti di Israele, prosegue: “I comandanti dell’esercito israeliano sanno che è giunto il momento di porre fine alle ostilità. Questa settimana i capi delle Forze di difesa israeliane hanno detto a Washington che hanno raggiunto i loro obiettivi a Gaza e in Libano. Netanyahu potrebbe lasciare che il suo alleato Trump tagli il nastro, per così dire, ma questi conflitti finiranno presto, perché l’IDF lo chiederà”.
Sull’asserita alleanza Netanyahu-Trump anche un articolo del Jerusalem Post, nel quale però si rinvengono anche opinioni simili a quelle succitate da parte di alcuni autorevoli analisti interpellati dal media.
Detto questo, chiudere la guerra non sarà così semplice come scrive Ignatius, né un cessate il fuoco, sempre se ci sarà, chiuderebbe il tragico capitolo del conflitto israelo-palestinese infiammato come non mai in quest’ultimo anno, ma già solo porre fine alle stragi di Gaza e del Libano sarebbe un passo decisivo.
Peraltro, i democratici e i media a essi collegati, che finora hanno favorito l’aggressività israeliana, dall’opposizione potrebbero incalzare Trump sul cessate il fuoco, fosse anche solo per creargli difficoltà – e di certo lo farà l’ala sinistra finora emarginata – offrendo a Trump una sponda necessaria per contrastare i falchi del suo partito.
Netanyahu vuole solo restare al potere
Ma c’è un altro elemento che potrebbe favorire tale sviluppo. Netanyahu sapeva che, se fosse finita la guerra, le opposizioni lo avrebbero portato alla sbarra, potendo godere del sostegno del partito democratico al governo degli Stati Uniti. Con Trump alla Casa Bianca, Netanyahu può sperare di trattare un cessate il fuoco in cambio della sua permanenza al potere, dal momento che il nuovo presidente non è legato a doppio filo con i suoi oppositori.
Bibi dovrebbe rinunciare ai suoi sogni di fare di Israele una potenza globale, ma ciò gli consentirebbe di conservare lo scranno, suo obiettivo primario. Certo, agli occhi del mondo la permanenza al potere di un politico che si è macchiato di così efferati crimini potrebbe apparire un prezzo eccessivamente alto, ma se ciò può servire a chiudere gli orrori di Gaza…
Detto questo, va considerato che Netanyahu che non è l’unico politico israeliano responsabile delle atrocità consumate in Medio oriente, ché la sua politica è stata ampiamente condivisa, essendo il dissidio interno focalizzato per lo più sulla strategia militare, non sulla sua necessità e ferocia, e sulla sorte degli ostaggi, non su quella dei palestinesi.
Insomma, la sua permanenza al potere può apparire ripugnante, e magari lo è, ma un cambio della guardia non porterebbe necessariamente Israele ad avere un approccio diverso rispetto alle crisi regionali. Non si vedono eredi di Rabin in Israele e i pochi che possono essere lontanamente accostati alle sue posizioni non hanno nessuna possibilità di riuscire a governare il Paese. Così che la priorità, per ora, resta limitata a far riporre le pistole nelle fondine. Il resto è lasciato all’incerto futuro.
A margine, un particolare piccolo, ma significativo: Jared Kushner, genero di Trump legato a filo doppio con Netanyahu, “non tornerà alla Casa Bianca”. Così un “preoccupato” titolo di Yedioth Aeronoth.