Trump e Putin: fu vera rottura?
Tempo di lettura: 3 minutiSul Corriere della Sera del 1º agosto Paolo Valentino analizza l’inasprirsi del confronto Mosca-Washington, che ha portato Donald Trump a varare sanzioni anti-russe e il Cremlino a espellere centinaia di diplomatici Usa in servizio in Russia. Uno strappo nei rapporti tra le due potenze che segue il recente incontro di Amburgo, dove pure i due presidenti si erano riavvicinati.
«Eppure c’è del metodo nella reazione russa – scrive Valentino -. E per quanto possa sembrare paradossale, l’espulsione di massa [dei diplomatici americani ndr.] è perfino disegnata in modo da evitare danni irreparabili del rapporto con Trump. Come se Putin, in fondo, voglia lasciare aperta la porta a un eventuale ripensamento, anche in questo riproponendo un paradigma da Guerra Fredda, quando spesso le crisi aprivano la strada a vertici e ripartenze tra Mosca e Washington
».
«E non è solo o tanto che la rappresaglia diplomatica scatterà il 1º settembre, mentre di regola in queste vicende i preavvisi sono di pochi giorni. Più significativo è che nessuno nel governo russo attacchi direttamente il presidente degli Stati Uniti
». Infatti oggetto delle critiche di questi è l’apparato militar-industriale americano o quegli ambiti politici che spingono per un conflitto Russia-Usa, non Trump.
Conclude Valentino: «Vladimir Putin sa che non può aspettarsi nulla di sostanziale o di positivo per la Russia dall’Amministrazione americana. Ma sa anche che Donald Trump continua a rappresentare la sua unica chanche di vedere riconosciuto il posto che egli rivendica per la Russia nel palcoscenico mondiale
».
In realtà la reazione russa è alquanto blanda, al di là delle “sparate” mediatiche; molto fumo e poco arrosto. Una mossa del tutto politica, che serve a rassicurare la popolazione russa sulla tenuta del suo leader che non poteva certo restare inerte di fronte al nuovo vulnus inferto al suo Paese. E davvero poca cosa rispetto alle sanzioni varate dalla controparte.
Al di là del fumo, infatti, tiene il ben più importante accordo sulla Siria, decisivo per le sorti del mondo. Che ha consentito ai russi di consolidare la propria posizione nel Paese: Mosca ha ottenuto da Assad la concessione per 50 anni dell’aerea dove sorge la base aerea di Hmeimim, la più importante base aerea russa nel Mediterraneo, e ha dispiegato altre truppe nel Paese, in particolare nel Golan.
Certo, è possibile una nuova escalation in Europa dell’Est, dal momento che l’Ucraina ha ottenuto nuovi armamenti dagli Usa, ma sulla riapertura di un fronte di guerra in quell’area pesa la contrarietà di Germania e Francia, che non possono permettersi un altro conflitto in Europa, a meno di soggiacere del tutto ai desiderata americani. Né il mondo può permettersi un altro incendio a rischio escalation globale. Almeno si spera.
Insomma, la situazione è del tutto fluida e non sarà certo l’espulsione di qualche centinaio di spie americane dalla Russia a cambiare il quadro internazionale. Anche perché il braccio di ferro innescato dal varo delle sanzioni americane ha cambiato meridiano e si è spostato in Europa, dove Germania e Francia sperano di poter attutire l’effetto devastante che tali misure avranno sulle loro economie (vedi Piccolenote). Devastante per loro, non troppo per la Russia, che ha nella Cina un partner economico sul quale contare.
Un partner non di poco conto: se la Russia ha tenuto nonostante le previsioni degli analisti occidentali, che immaginavano che Mosca sarebbe presto crollata a causa del ribasso del prezzo del petrolio e delle restrizioni economiche comminate da Obama, è stato solo per l’aiuto di Pechino. Che non mancherà nel futuro. Anche perché il Dragone ha bisogno dell’apparato militare russo, molto più sofisticato del suo, per poter far fronte alle sfide imposte dal confronto con gli Stati Uniti.
Da questo punto di vista, la conclusione dell’articolo di Valentino, secondo il quale Trump sarebbe l’unica chanche concessa a Putin per veder riconosciuto il suo ruolo internazionale, appare un po’ riduttiva. Il mondo è grande e occorre iniziare a pensarlo sferico, non appiattito sull’Occidente. Non serve un nuovo Cristoforo Colombo, basta guardare un banale mappamondo.