Trump trionfa, ma la Casa Bianca si allontana
Il trionfo scontato di Trump nel dibattito di ieri con Biden è stato salutato dai suoi fans come una vittoria definitiva, quasi che dopo ieri la presidenza sia a portata di mano. In realtà, è esattamente il contrario.
Se prima di ieri l’insediamento di Trump alla Casa apparteneva a un destino manifesto data la senescenza del suo competitor, da ieri è molto, molto più incerta. La camarilla dell’establishment democratico per esautorare Biden dalla corsa, da manovra sotterranea, è diventata uno tsunami. Davvero arduo che possa arginarla.
Il “panico” democratico
Basta scorrere i titoli del New York Times online – media di riferimento del partito democratico – subito dopo il dibattito: “I democratici parlano di sostituire Biden nel ticket”; “‘È spaventoso’. Gli elettori hanno espresso preoccupazione per le difficoltà del presidente Biden”; “‘Dio ci aiuti’: 12 scrittori valutano la performance di Biden al primo dibattito presidenziale”; “Joe Biden è un brav’uomo e un buon presidente. Deve ritirarsi dalla corsa”; “Biden non può continuare così”; “Sento una forte ansia da parte dei democratici per la performance di Biden nel dibattito”… e sono solo le prime bordate. Un profluvio di articoli che interpella, quasi che la campagna fosse preparata.
La marea continuerà a montare e tra il 19 al 22 agosto, alla Convention del partito, sede in cui dovrebbe, o meglio avrebbe dovuto, essere ufficializzata la candidatura di Biden, la leadership democratica formalizzerà la scelta di un altro candidato. Una figura non eletta, ma nominata.
Le alternative
Ormai collassate le quotazioni dell’inutile vice Kamala Harris (ironico ricordare l’enfasi iniziale sull’amministrazione Biden-Harris), mentre controverse sono anche le possibilità di Gavin Newson, personaggio caro all’élite, dal momento che, quando stava per essere lanciato in alternativa a Biden, il Los Angeles Times ha pubblicato un sondaggio che ne rilevava in calo i consensi persino nella California di cui è governatore.
E poi c’è il problema della moglie ex regista, caduta nella rete del guru di Hollywood Harvey Weinstein. Certo, anche lei, come altre attrici, ha affermato di essere stata costretta a subirne le avances, ma nelle feroci campagne elettorali americane certe vischiosità sono oro per i detrattori.
C’è, infine, la sempreverde Michelle Obama, ma ogni volta che il suo nome viene evocato le succede qualcosa di spiacevole che le fa declinare l’offerta. La leadership democratica, in asse con i neocon repubblicani, non vuole un altro Obama, al quale rimprovera i tradimenti – incancellabili – dell’accordo sul nucleare iraniano e del mancato attacco alla Siria. Infine, resta difficile un ritorno della Clinton, troppo invisa alla sinistra del partito. Sarebbe una scelta divisiva in un momento in cui si richiede il massimo dell’unità.
Detto questo, pur restando residuali possibilità per le figure evocate, c’è un ampio parterre nel quale la leadership democratica può rinvenire la sua risorsa last minute. Anche perché le perplessità pregresse, che suonavano un po’ come “meglio il senescente Biden di questo sconosciuto”, ora sono cadute.
Contro Trump serve un “cartonato presentabile”
E la parola d’ordine attuale è “meglio un cartonato che Biden”. Si tratterà, dunque di trovare un cartonato presentabile e qualcuno uscirà fuori. Spetterà poi ai media mainstream raccontare come l’uomo nuovo sia riuscito nell’intento di galvanizzare l’elettorato di riferimento, alimentando, in parallelo, la campagna alzo zero contro Balzebù-Trump.
Detto questo, era da tempo che i più lucidi sostenitori di Trump allarmavano circa un cambio di cavallo della parte avversa. Certo, ora non possono che sottolineare il trionfo del loro beniamino, ma sanno benissimo che la vera campagna elettorale deve ancora iniziare. E non sarà altrettanto in discesa.
Quanto a Biden, aveva stretto un patto col diavolo, certo che il placet all’escalation a Gaza e in Ucraina gli avrebbero consentito di arrivare se non vegeto, almeno vivo all’appuntamento fatidico. Ha forzato, affidandosi a circoli dei quali pure gli era nota l’inaffidabilità, e nei confronti della biologia, che lo condannava.
Così lo sfacelo di Gaza e dell’Ucraina resteranno a perenne memoria della sua tragica sfida al destino.