Turchia: Erdogan e i media sgraditi
Tempo di lettura: 2 minuti«Che si tratti della vendetta postuma di Recep Tayyp Erdogan nei confronti del più determinato dei suoi nemici, il predicatore islamico Fethullah Gülen, che vive in esilio negli Usa, non vi è dubbio. Che poi si tratti dell’ennesima prova di forza decisa da un presidente della Repubblica troppo arrogante per poter accettare le critiche di chi non la pensa come lui è altrettanto scontato. I nuovi arresti di 24 giornalisti non fanno altro che consolidare un record poco edificante: nelle carceri turche il numero dei reporter e commentatori, arrestati e in attesa di giudizio, è superiore a quello dei nostri colleghi prigionieri in Cina, in Russia e in Iran
». È l’inizio di un articolo di Antonio Ferrari sul Corriere della Sera del 15 dicembre a commento dell’ondata di arresti che ha portato in carcere 24 giornalisti turchi.
Titolo dell’articolo: Padre della patria? Ormai soltanto signore e padrone.
Nota a margine. La decisione di Erdogan arriva dopo che a più riprese il presidente turco aveva denunciato come sovversiva la rete di persone che ha in Gülen il suo referente. Stupisce che la stampa occidentale si accorga solo ora che l’uomo che per anni ha rappresentato l’alleato fondamentale nella lotta contro il regime di Assad sia meno liberale di quanto ipotizzato.
Eppure qualche indizio di scarsa propensione alla democrazia poteva essere colto anche in passato. Un piccolo esempio è stata la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche nelle quali ministri e militari vicini al governo Erdogan accennavano alla possibilità di creare ad arte un casus belli in Siria per poterla invadere. O delle inchieste in cui veniva rivelato il sostegno turco ad al Nusra, mentre questa organizzazione affiliata ad Al Qaeda insanguinava la Siria. Rivelazioni diffuse dai giornalisti arrestati in questa tornata, allora ignorate dalla stampa e dalle cancellerie occidentali che oggi si scandalizzano del loro arresto.