Ucraina: l'arrivo dei magici F 16 in un Paese al collasso
Nel teatro di guerra ucraino sono apparsi gli F-16. Grida di giubilo da parte della leadership ucraina per l’arrivo dell’ennesima arma magica, accompagnate, però, dalle lamentale per il fatto che sono ancora pochi rispetto a quanti promessi. Secondo il New York Times, infatti, solo 20 piloti ucraini sarebbero in grado di guidarli, da cui la possibilità di disporre di soli 10 velivoli.
Peraltro, aggiunge il media Usa, i russi negli ultimi tempi hanno preso di mira con maggiore intensità le basi aeree ucraine, rendendo ancora più arduo ai jet – che già dovranno affrontare i più moderni aerei russi e il micidiale fuoco di sbarramento degli S-400 – di agire a proprio piacimento.
L’arrivo dell’arma magica, come hanno detto anche più o meno tutti, non cambierà le sorti della guerra. Si tratta di una trovata psicologica, un modo per poter dire che la guerra non è ancora persa, nonostante i catastrofici rovesci del fronte, dove i fanti ucraini cadono come mosche e i russi avanzano giorno dopo giorno.
La maggioranza degli ucraini favorevole ai negoziati
La guerra infinita abbisogna di tali trovate per potersi alimentare: la realtà deve essere obliata in favore della narrazione. D’altronde negli ultimi giorni si era parlato di apertura ai negoziati. Ne aveva parlato addirittura la BBC il 16 luglio, affermando quasi metà degli ucraini, il 44%, vorrebbe i negoziati, anche se la maggioranza di essi sarebbe contraria a cedere territori.
Più di recente, Strana ha pubblicato un sondaggio a cura dell’Istituto Nazionale Democratico e dell’Istituto Internazionale di Sociologia di Kiev, secondo il quale il 57% è favorevole ad avviare trattative (visto che è impossibile che il 13% della popolazione cambi opinione in così breve tempo, qualcosa non andava sui dati resi noti dalla BBC).
Sempre secondo il sondaggio ucraino, “il 60% non è pronto a cedere la Crimea e parti dell’Ucraina orientale, il 77% considera inaccettabili dei negoziati basati sullo status quo territoriale e rispettivamente il 74% e il 76% respinge le richieste russe di rinunciare all’adesione alla NATO o all’UE come prezzo per la pace”.
Le bizzarre aperture di Kiev ai negoziati
Il sondaggio di Kiev è stato ripreso anche dal New York Times dello scorso 31 luglio, ma il media omette di fornire il dato principale, cioè che la maggioranza degli intervistati vorrebbe i negoziati, limitandosi a riferire che “sempre più ucraini sembrano aperti a un accordo di pace” (tale il titolo) e che quasi un terzo degli intervistati sarebbe disposto a cedere territori alla Russia, come da sondaggio ancora più recente.
Si può aggiungere che quanti in Ucraina si dicono aperti ai negoziati con la Russia rischiano di passare per traditori della patria. E Kiev non scherza con i traditori. Da cui la possibilità che tanti degli intervistati abbiano omesso la loro vera opinione.
Al di là del particolare, resta questo nuovo sentimento popolare, presumibilmente più vasto di quanto riferito, tale da non poter essere ignorato. Tanto che probabilmente è alla base delle aperture della leadership ucraina, che negli ultimi tempi ha ripreso a parlare di trattative.
Aperture che per il momento suonano del tutto vacue, mera propaganda volta a smussare la disperazione interna e ad attrarre simpatie dall’estero, dove il sostegno alla guerra infinita va erodendosi sempre più.
Aperture tanto più vacue perché a decidere saranno gli Stati Uniti, che decideranno presumibilmente dopo le presidenziali. Tra le altre cose, l’ipotesi, avanzata da alcuni analisti, che Biden, ormai fuori dalla corsa, possa fare la pace prima di quella scadenza, è suggestiva ma niente più.
Un Paese in default
Di interesse annotare che l’arrivo degli F-16 serve anche a distogliere l’attenzione da un altro dato più che significativo riguardo l’Ucraina. Venerdì scorso l’Agenzia di rating Standard and Poor’s ha retrocesso il rating del credito dell’Ucraina al livello di default “selettivo” (Reuters), decisione presa in seguito al mancato pagamento di un’obbligazione internazionale, omissione derivante dalla decisione del governo di non pagare niente e nessuno prima del compimento del processo sulla ristrutturazione del debito.
L’Agenzia si è detta disposta a rivedere la valutazione dopo la conclusione del processo, ma sembra più una concessione alla propaganda che altro. Peraltro, la decisione di S&P giunge dopo un’analoga decisione presa da un’altra Agenzia di valutazione internazionale, Fitch, che ha declassato il rating dell’Ucraina da CC a C, cioè il livello più basso. Una decisione presa subito dopo l’approvazione della norma sulla sospensione del pagamento dei debiti. Tale decisione, secondo Fitch, “segna l’inizio di un processo di default“.
Peraltro, la decisione dell’Agenzia giungeva molto prima del dovuto: il verdetto avrebbe dovuto arrivare a dicembre, ma “Fitch – si legge nel comunicato ufficiale – ritiene che gli sviluppi che si registrano nel paese giustifichino tale cambiamento del calendario”. Insomma, l’Agenzia ritiene che non ci sia nessuna speranza di miglioramento.
In aggiunta, secondo i dati ufficiali del governo ucraino, nel 2024 “la mortalità in Ucraina è tre volte superiore al tasso di natalità”.
Insomma, il Paese è al collasso dal punto di vista demografico, militare ed economico. Una situazione che dovrebbe urgere la fine di una guerra che sta incenerendo un’intera nazione, ma i media si crogiolano con i magici F-16…
L’Ucraina e i terroristi del Mali
Da ultimo, si rileva che il Mali ha chiuso le relazioni diplomatiche con Kiev dopo che, come annota la BBC, “Andriy Yusov, portavoce dell’intelligence militare ucraina, ha dichiarato la scorsa settimana che ai ribelli erano state fornite le ‘informazioni necessarie’ per condurre gli attacchi” che hanno causato la morte di decine di militari di Bamako e altrettanti militi dell’Afrika Korps (nuovo nome della Wagner russa, che sostiene il Mali nel suo conflitto interno).
Tutti i media occidentali hanno esultato per la vittoria dei cosiddetti ribelli maliani nello scontro succitato, avvenuto il 25 luglio a Tinzaouaten, una città del Nord-est, al confine con l’Algeria.
Di interesse notare che le forze che oggi si oppongono al governo del Mali, prima del colpo di Stato che pose fine al governo filo-occidentale erano classificate come terroriste dal governo statunitense e dai suoi alleati, in quanto diramazioni locali di al Qaeda e dell’Isis (vedi “Country Reports on Terrorism 2020: Mali“).
Successivamente, per qualche oscura magia, sono diventati “ribelli”. Potenza delle narrazioni, che fanno sì che l’appoggio a un’organizzazione terrorista passi come un ingaggio in favore della libertà dei popoli, come da rivendicazione delle autorità di Kiev.