NYT: Ucraina, un banco di prova perfetto per le armi
Tempo di lettura: 4 minutiIl G-20 di Bali si è aperto con un piccolo giallo: la notizia che il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov era stato ricoverato in ospedale. Questa ha fatto il giro del mondo, senza che nessuno dei giornalisti che l’hanno rilanciata si sia premurato di accertarne la veridicità, cosa alquanto semplice (bastava una telefonata agli organizzatori del summit, c’erano delegati di 20 nazioni e cronisti al seguito).
Resta il mistero del perché si sia sparsa in tutto il mondo tale fake, che, se non è nata a scopo intimidatorio, lo è diventata di fatto attraverso il rilancio globale.
Il G-20 di Bali e la fine dell’unilateralismo
Per il resto, a oggi l’unico reale risultato del G-20 è stato l’incontro tra Biden e Xi Jinping, i quali hanno parlato per tre ore tentando di accordarsi su come evitare che le attuali tensioni tra Usa e Cina sfocino in guerra, militare e commerciale, e di porre un freno all’incombente Guerra Fredda.
Un incontro fruttuoso tra le due più grandi potenze globali, nel quale, di fatto e al di là delle conflittualità future, è stata ufficialmente sancita la fine dell’unipolarismo americano post ’89, che invano si è tentato di rilanciare attraverso la guerra ucraina. Non tornerà.
Il G-20 ha dato occasione a Zelensky per un’ennesimo show, nel quale il comico prestato alla politica si è presentato sotto altra veste, quella del pacificatore, ma ponendo condizioni talmente massimaliste che di fatto negano ogni reale possibilità al negoziato. D’altronde, anche nell’occasione indossava l’usuale magliettina verde militare, in conformità alla solita sceneggiatura cui soggiace.
Resta che non sta a Zelensky aprire o chiudere porte, nonostante quanto si dichiara nelle Cancellerie d’Occidente, ma ai suoi sponsor, senza i quali l’Ucraina collasserebbe in un giorno.
Sono loro a dare o togliere la corrente al tragico show ucraino e la possibilità che una trattativa possa aprirsi esiste, nonostante tutte le manovre di contrasto messe in campo, anche se resta il dubbio sullo scopo della stessa, se cioè sia qualcosa di reale o solo una tattica dilatoria per impedire un’eventuale controffensiva dei russi nel prossimo inverno e dar modo all’esausto esercito ucraino di riorganizzarsi per riprendere la pugna più in là.
Siamo consapevoli che molti analisti non tengono in alcun conto l’ipotesi di una controffensiva dell’esercito russo, come se non fosse nemmeno nel novero delle possibilità, dal momento che l’inverno, dicono, non consentirà ai contendenti di manovrare.
Ma se qualcuno di questi leggesse almeno un libro di storia, scoprirebbe con certa sorpresa che i russi distrussero l’armata nazista e i loro vari alleati (tra cui, purtroppo, gli italiani) proprio nella controffensiva invernale. E parliamo di anni in cui le capacità militari e logistiche erano molto meno avanzate del presente.
Probabilmente gli americani hanno più contezza di tale possibilità degli analisti da salotto, da cui la spinta a un negoziato, reale o tattica che sia, per impedirla e incassare la vittoria grazie al ritiro dei russi da Kherson (evidentemente concordato col nemico – leggi Stati Uniti – come evidenziano l’ordine e la velocità con cui è avvenuto).
Da qui l’incontro segreto ad Ankara tra i capi dell’intelligence russa e americana che potrebbe preludere ad altri e più importanti sviluppi, sempre che non prevalga il partito della guerra, che peraltro ha appena vinto le elezioni di midterm negli Usa (per i dettagli rimandiamo a Responsible Statecraft, articolo dal titolo: “Perché il Partito della Guerra è il vero vincitore delle elezioni di midterm”).
Ucraina: il banco di prova per le armi
In attesa, ci sembra interessante l’articolo di Lara Jakes sul New York Times dal titolo: “Gli alleati occidentali guardano all’Ucraina come a un banco di prova per le armi”.
Forse basterebbe il titolo per dare l’idea della follia di cui è vittima l’Ucraina, costretta a perseguire questa guerra per procura contro la Russia fino all’ultimo ucraino. Ma riportiamo ugualmente parte dell’articolo perché istruttivo.
Nell’incipit, la Jakes racconta entusiasta di come nel teatro di guerra sia stato “silenziosamente” introdotto un nuovo dispositivo tecnologico chiamato Delta, “una rete online usata da militari e civili” per “tracciare e condividere informazioni” sulle forze russe.
“Delta – scrive la Lakes – è un esempio di come l’Ucraina sia diventata un banco di prova per armi e sistemi di informazione all’avanguardia e nuovi modalità d’uso [di sistemi esistenti], che politici e militari occidentali prevedono possano plasmare la guerra per le generazioni a venire”.
Certo, è in corso una battaglia tradizionale di logoramento, con armi convenzionali, nondimeno “i progressi nella tecnologia e nell’addestramento in atto nella guerra ucraina vengono attentamente monitorati per verificare come stanno cambiando il volto dello scontro. Oltre a Delta, ci sono i droni navali telecomandati, le armi anti-drone note come SkyWipers e una versione aggiornata di un sistema di difesa aerea costruito in Germania che l’esercito tedesco non ha ancora utilizzato” (1).
“L’Ucraina è il miglior banco di prova possibile, perché abbiamo l’opportunità di testare tutte le idee in una battaglia vera e introdurre cambiamenti rivoluzionari nella tecnologia militare e nella guerra moderna”, ha affermato Mykhailo Fedorov, vice primo ministro ucraino e ministro della trasformazione digitale.
Nella mente l’immagine del banco sopra evocata va inevitabilmente a sovrapporsi a quella di un banco da macellaio… Ma forse siamo antiquati. Forse è per questo che l’entusiasmo con cui l’articolo racconta certe meraviglie ci lascia interdetti.
Alla memoria torna però anche altro. Un cenno di papa Francesco, che appare profetico alla luce di tanta allucinata tecno-macelleria, riguardo la guerra ucraina, quando disse “…registro l’interesse di testare e vendere armi. È molto triste, ma in fondo è proprio questo a essere in gioco“.
Già, l’ingerenza indebita delle industrie delle armi – un tempo si chiamavano mercanti di morte – non aiuta a costruire la sospirata pace. Se si tiene conto, poi, che l’America è usa a risolvere le sue crisi grazie alle guerre, le cose si complicano ancor di più (sul punto rimandiamo a un documentato report sul web).
(1) Strano che nell’articolo non si citi Starlink, dal momento che è la prima volta che viene utilizzata in guerra una rete satellitare tanto sofisticata e tanto decisiva. Ma forse la dimenticanza è dovuta al fatto che il patron della stessa, Elon Musk, con l’acquisto di Twitter si è messo in urto con l’establishment a cui il NYT presta la voce. Caduto in disgrazia anche per aver proposto un improvvido piano di pace, il suo contributo alla guerra per procura può essere relegato all’oblio.