Ucraina: la convergenza di Usa, Russia e Cina
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La votazione tenuta al Consiglio di Sicurezza Onu sull’Ucraina mette in evidenza le prospettive verso le quali si muove il mondo. Russia, Cina e Stati Uniti, infatti, hanno votato la risoluzione redatta da Washington, mentre gli altri Paesi membri del Consiglio si sono astenuti.
La risoluzione Onu sull’Ucraina
Per dovere di cronaca va ricordato che la risoluzione si limitava a definire quanto si sta consumando in Ucraina un “conflitto”, evitando di accusare la Russia di aggressione, e si auspicava una rapida risoluzione della guerra per risparmiare ulteriori vite umane, omettendo l’usata formula sulla necessità di conservare integrità territoriale dell’Ucraina e sulla pace “giusta”, declinazione ideale di tale necessità.
Formule astratte del passato, che non tenevano alcun conto della realtà plasmata dai vari interventi dei falchi anglosassoni (anzitutto Boris Johnson) volti a sabotare i pregressi negoziati russo-ucraini, nei quali la Russia aveva accettato l’integrità territoriale del Paese nemico che ora, dopo tanti niet e tanto sangue russo, non è più disposta a concedere.
Ma non è tanto il contenuto della risoluzione che conta, nonostante sia nettamente di rottura rispetto al passato, quanto la convergenza di Cina, Russia e Stati Uniti su di essa.
Il conflitto ucraino è stato il catalizzatore, lo scontro aperto e decisivo tra le opposte prospettive geopolitiche globali, cioè l’unilateralismo e il multipolarismo. Così più che una convergenza sull’esito del conflitto, con quel voto le tre potenze globali hanno inteso segnalare la fine dell’unipolarismo occidentale a trazione Usa e l’apertura dell’età multipolare, la cui architettura dovrà essere costruita in un dialogo tripartito.
Da questo punto di vista, discettare sulle possibilità, inesistenti, di una inedita partnership Usa-Russia in funzione anti-Cina è fuorviante. A Trump, nonostante l’ovvia competizione, necessita anche Pechino per costruire la nuova architettura globale. Non basta Mosca, soprattutto ora che il baricentro del mondo si è spostato in Asia.
La resistenza delle élite consegnate all’unilateralismo
La revocabilità di tale processo germinato in sede Onu, risiede nella capacità di resistenza del Potere iper-atlantista che ha dominato finora e che ha portato e fatto votare nell’Assemblea generale delle Nazioni Unite una risoluzione sull’Ucraina di tutt’altra natura, fedele alle direttive del passato.
È alquanto bizzarro che i Paesi che hanno elaborato tale risoluzione, Francia e Gran Bretagna in primis, non abbiano posto il veto alla risoluzione di opposta natura votata successivamente al Consiglio di Sicurezza.
Al di là dell’evidente schizofrenia, specchio della mancanza di equilibrio e realismo palesata dalle élite europee negli ultimi anni, è anche un segno che non intendono andare a uno scontro aperto con Washington.
Le élite delle colonie, infatti, per conservare il proprio potere, abbisognano che l’Impero sia preservato da lacerazioni irrevocabili proprio perché le loro prerogative derivano dal potere centrale, che deve restare indiscusso, almeno in ultima istanza, per conservare la propria e loro Forza.
È tale il condizionamento derivato dall’assetto unipolare pregresso che tali élite non riescono a pensarsi se non come vassalle o serve, un ristretto orizzonte che peraltro difendono in maniera disperata, come denotano le lamentele contro l’isolazionismo degli Stati Uniti incarnato da Trump e tutti gli aspetti a esso connessi (ad esempio, per restare nello specifico, il panico per l’annunciato ritiro Usa dalla guerra ucraina).
Tale il dinamismo, la meccanica propria dell’unilateralismo, che prevede un unico centro di potere dal quale tutti gli altri discendono e dipendono. Tale il mondo che si compiace di contrapporre la libertà all’autoritarismo e le regole all’arbitrio del Principe.
Sfidare Trump
Tale digressione serve a illustrare il momento presente, che vede la rivolta dell’Europa, meglio di parte di essa, non tanto all’America, della quale vuole restare serva, quanto a Trump e al trumpismo, visti come incidente di un percorso che, grazie alla loro resistenza ma soprattutto a quella delle pregresse élite americane, può tornare sulla retta via in un prossimo futuro.
Da questo punto di vista, per essi Trump rappresenta un incidente di percorso, una parentesi che si chiuderà più o meno a breve. Il rafforzamento dell’unità europea brandito in questo momento è solo un passaggio temporaneo in attesa di un nuovo e più felice vassallaggio.
Insieme alle vestigia del passato, tali élite devono difendere a tutti i costi le guerre infinite, che dell’unilateralismo sono state colonna e fondamento, da cui la necessità anche ideale di perpetuare il conflitto ucraino, che di tali guerre è assurto a simbolo.
In parallelo alle guerre infinite corre il sostegno incondizionato a Israele e alla sua guerra perpetua che, va ricordato, ha iniziato il genocidio palestinese con il pieno sostegno dell’Impero a prospettiva unipolare (tale sostegno è stato ribadito dal nuovo Cancelliere tedesco, Joachim-Friedrich Martin Josef Merz, il cui primo atto politico è stato invitare Netanyahu a Berlino).
I venti di contrasto alla prospettiva aperta con la risoluzione votata da Usa, Russia e Cina sono evidenti in Europa, ma quelli più forti soffiano in America. La sfide a Trump vengono non solo dai suoi antagonisti dichiarati, ma paradossalmente dall’interno del suo partito e, più in generale, dai suoi più influenti sostenitori.
Tali sfide hanno nomi: Cina, Palestina e Iran. Se Trump non riuscirà a sedare le spinte per contrastare Pechino manu militari, come anche quelle volte a portare a compimento il genocidio palestinese e quella per incenerire l’Iran – che più delle altre precipiterebbe il mondo di nuovo nel tunnel delle guerre infinite – non riuscirà a portare l’Impero fuori dai miasmi, sempre più frusti, dell’unilateralismo a trazione Usa.